Capitolo 22

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Una carneficina. Quella della Terza Armata non era stata una retata, ma una vera e propria carneficina. Non aveva lasciato testimoni, non aveva recuperato penitenti, non aveva cercato prove o connessioni con altre attività illecite. Niente. E Jeremy se ne rese conto soltanto quando fu tornato in superficie, quando cercò di guardare in faccia gli altri membri dell'URC.

C'era sangue ovunque: sui loro volti, sulle divise, sulle armi. Ovunque. E quel sangue non li rendeva più delle persone, li faceva piuttosto assomigliare a delle maschere grottesche, inquietanti.

Tentennò, deglutì, ingoiò un amaro rospo nel sentirsi dare una pacca sulla spalla da Garner. Poi udì perfino le sue congratulazioni, quel tanto entusiasta:

«Ottimo lavoro, Hunt!»

E perse le parole, batté le palpebre, rimase fisso, con le gambe pesanti, immobili, fatte di cemento. Lo sguardo vagante, curioso, alla ricerca di quelle risposte mai avute e mai date. Ancora un rospo lungo la gola, un macigno che stentava ad abbandonarlo. E l'immagine del Colosso sgozzato, della sua testa che saltava, del corpo privo di vita nella merda delle fogne.

Avrebbe voluto umettarsi le labbra, ma farlo gli sarebbe costato un conato o chissà quale malattia. Perciò non lo fece, no. Si trattenne e inspirò a fondo, serrando i denti. Le narici larghe, le orecchie attente. Pareva un segugio.

La prima cosa strana che notò fu la risata sinistra di un qualcuno senza nome. Era gelida, gutturale, spasmodica. Nascondeva un divertimento tale da sembrare sadico, lo faceva fremere sul posto.

Quando si voltò in quella direzione, Moore cercò di richiamarlo con un colpo di tosse. Ma non riuscì nel suo intento, e gli occhi di Jeremy si focalizzarono sulla Prima Squadra d'Assalto della Terza Armata.

Le sopracciglia aggrottate e le dita ben strette sull'AK-47, chiese: «Chi sono quelli?» Conosceva già la risposta, poteva vederlo con i propri occhi o leggerlo sulle tute sporche. Facevano tutti parte dell'SRF, sì. La cosa lo fece deglutire a vuoto.

«Pazzi» sputò Garner, tagliando corto, e spronandolo ad avanzare verso il camioncino dell'URC. «Non badare a loro, non guardarli nemmeno, Hunt.»

Ma l'interpellato non riuscì ad ascoltarlo del tutto. Mosse dei passi pesanti, seguì il cordone verso il camioncino, continuò a fissare gli uomini della Prima Squadra d'Assalto che uscivano uno a uno dal tombino. E quella risata echeggiò ancora nelle sue orecchie, lo fece rabbrividire.

«Non guardarli» ripeté Garner, avvicinandosi al suo orecchio per cercare di sembrare più convincente – o forse, semplicemente, per riscuoterlo e parlare direttamente alla sua coscienza.

«Mi sono davvero comportato in quel modo?» Soffiò. Gli occhi sgranati, ancora fissi sul brano di pazzi assassini che, coperti di sangue e feci, ridevano della mattanza. «Il Comandante ha detto che mi sono comportato come se fossi un membro delle Squadre d'Assalto...»

«Non dire idiozie» lo ammonì piano. «Al Comandante non è andato giù il fatto che tu abbia superato la prova, ecco tutto.»

«Di che prova stai parlando?» Jeremy tornò finalmente a guardare Garner. Distolse gli occhi dalla Prima Squadra d'Assalto e lo fece a fatica.

«Ti ha messo alla prova, Hunt» disse questi, mantenendo comunque un basso profilo e cercando di non alzare troppo la voce. «Possibile che tu sia il solo a non essertene accorto?» Allora sospirò, scosse perfino la testa e lo mise ben dritto, in fila, per entrare nel furgoncino dell'URC. Alle sue spalle, mormorò un: «Avrebbe voluto che te la vedessi brutta, è questa la verità. La tua resistenza lo infastidisce.»

«Perché mai dovrebbe infastidirlo?» Borbottò. Arricciò perfino il naso in un moto di confusione, ma poi non aggiunse altro. Si limitò a salire sul furgoncino, a sedere dinanzi a Moore, a sospirare nella consapevolezza che Daniel avrebbe guidato fino agli alloggi dell'URC. Non lo avrebbe visto, no, e probabilmente non avrebbe neppure ascoltato quella conversazione. Si sarebbe concentrato sulla strada, ne era certo.

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