Stordito dal Trazodone, Jeremy Hunt non si era praticamente accorto di nulla: né dell'ingresso scortato al Dipartimento Medico dell'SRF né dell'epidurale che aveva ordinato l'anestesista. Ma a distanza di dodici ore dalla sua operazione era pressoché certo che qualcuno gli avesse infilato un tizzone ardente su per il culo. Non riusciva a stare fermo, supino, e più tentava di mettersi su un fianco più la voce del Soldato Moore lo ammoniva.
«Cosa sei, un'anguilla?» Era indisponente, sarcastico, stranamente letale. «Devi stare a riposo, Hunt.» La voce giovane e lo sguardo vacuo, non dissimile da quello di Daniel Begum. «Non vorrai mica fare incazzare il Dottor Howard...»
Ma Jeremy non riusciva ad ascoltarlo, lo sentiva ovattato, distante. E anche se fosse stato diversamente, in fondo, non avrebbe potuto controllare il proprio istinto.
Gli faceva male, dannatamente male!
I punti freschi continuavano a bruciare, a tirare, mentre quelli che aveva improvvisato nell'infermeria del Campo di Addestramento erano stati rimossi e suturati al meglio dall'equipe dell'SRF.
Il dolore lo assillava, il fastidio lo asfissiava. Tuttavia era la posizione impostata a farlo sentire una cavia da laboratorio, un animale in gabbia. «Non riesco a riposare» si lamentò. «L'altra volta mi hanno riempito di Morfina, cazzo! Dov'è adesso quel fottuto pulsante?» L'esasperazione negli occhi e la smania di alzarsi per cercare qualcuno di più competente, qualcuno più affidabile – magari il Dottor Howard o il suo piccolo assistente lentigginoso.
Ma non doveva muoversi, no, tantomeno poteva farlo. Moore lo sapeva, lo sapeva perfino Garner. E quest'ultimo non si fece alcuno scrupolo nell'avvicinarsi al lettino di Jeremy per ributtarlo con le spalle contro il materasso. «Vuoi farti legare, Hunt?» Sillabò irritato.
Questi deglutì a vuoto, poi scosse la testa. Sentirsi braccato, sopraffatto, lo imbestialiva tanto quanto quello stramaledetto catetere che i medici gli avevano infilato su per il cazzo. «No» disse.
«Bene, un problema in meno» soffiò Garner, allontanandosi dal lettino di Jeremy per lanciare un'occhiata a Moore.
«A cosa devo tanto interesse?» Sbottò d'un tratto, attirando l'attenzione dei due soldati su di sé. Li vide voltarsi, percepì perfino un briciolo di perplessità aleggiare nell'aria. Eppure continuò, disse: «La volta scorsa non c'era nessuno qui...»
«Sei una recluta» minimizzò Moore, facendo spallucce.
«E prima ero solo un fottuto civile» bofonchiò. «Ma lo sarei diventato comunque» aggiunse, alzando di poco la voce per contraddirlo.
«Non se il Comandante della Terza Armata ti avesse ignorato» sputò Garner. «Avrebbe potuto lasciarti morire dissanguato fuori dal tombino cui eri uscito – la, immerso nelle feci del Settimo distretto.» Gli vide indurire i muscoli del viso, socchiudere le labbra come per parlare, perciò lo interruppe subito e continuò laconico: «Ma non lo ha fatto, no. E ha voglia di vederti in azione il prima possibile.» Ignorò l'occhiataccia di Moore e la perplessità di Jeremy. Ormai era un fiume in piena, non faceva che sproloquiare! «Sai, ha chiesto al Dottor Howard quanti giorni sarai costretto a restare qui in spedale e si è fatto fare perfino una stima per la riabilitazione...»
«Garner!» Moore lo rimproverò con un cipiglio crucciato. Aveva sempre pensato che fosse un chiacchierone, ma non immaginava la portata della sua lingua lunga. Così sospirò, si massaggiò una tempia e distolse lo sguardo da entrambi. Preferì passare a Garner la patata bollente – perché sì, era certo che Jeremy Hunt avrebbe continuato a parlare, parlare, parlare.
«Quanti giorni?» Spicciolo, Jeremy s'informò al riguardo e deglutì a vuoto.
«Due giorni dal termine dell'operazione» disse. Poi controllò l'orologio da polso e aggiunse: «Quindi altre trentasei ore.»
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Butterfly Theorem
ActionJeremy Hunt ha perso tutto, ogni cosa: non ha un posto dove stare, tantomeno un motivo per continuare a vivere. Ma non è il né il primo né l'ultimo. Sono ancora gli anni Settanta, tuttavia sembra che le lancette del tempo si siano fermate da un pezz...