Capitolo 27

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Acke non sapeva proprio come reperire delle sigarette, non in un simile stato di agitazione collettiva e con i membri della Terza Armata alle calcagna. Continuava a deglutire a vuoto, a guardarsi attorno con fare spaesato, sospetto, e più scendeva le scale, più aveva il sentore che i passi alle proprie spalle potessero farsi vicini. Infine, trattenendo il respiro, s'intrufolò dietro una porta di metallo qualsiasi. Schiacciò bene le spalle contro il muro, sentì il proprio cuore balzare veloce nel petto fin quasi a rimbalzargli in gola.

Era fermo, fisso, un'ombra silenziosa che cercava riparo in un reparto cui neppure avrebbe dovuto mettere piede. Perciò si umettò le labbra e, curioso, rimase in attesa di veder passare l'apocalittico trio di soldati dell'SRF.

Vide il Comandante con lo sguardo basso, riuscì perfino a sorprendersene e quasi si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa. Subito la trattenne, si fece coraggio, ma incrociò lo sguardo di un soldato e strabuzzò gli occhi. Quando capì che questi non aveva la benché minima voglia di fermarsi o dare l'allarme, però, sospirò. Non conosceva il suo nome, eppure avrebbe quasi voluto ringraziarlo. Così sorrise tra sé e sé, finalmente salvo e lontano dal pericolo.

Poi, guardandosi attorno, identificò l'area del Dipartimento Medico dell'SRF cui era capitato e storse le labbra. «Proprio qui dovevo fermarmi?» Si chiese a bassa voce, quasi borbottando.

«Già, proprio qui» echeggiò qualcun altro, una voce che Acke conosceva fin troppo bene. «Sarà stato il destino, forse il caso...»

Acke si voltò irritato, quasi furibondo. Le sopracciglia aggrottate e l'insegna di diagnostica che spiccava a grosse lettere a un paio di metri di distanza. «Duncan» bofonchiò a denti stretti, sentendosi invadere il naso da una zaffata di fumo che questi si premurò di gettare nella sua direzione.

«Chi ti aspettavi di trovare?» Chiese piano, muovendo un passo verso di lui. E non lo vide retrocedere, no, perciò accennò un sogghigno.

L'unico motivo per cui Acke non si mosse, tuttavia, fu il fatto di sentirsi tra due fuochi. Serrò i denti, perfino le mani nelle tasche del camice bianco, e distolse lo sguardo per puntarlo contro il muro pallido. «Nessuno, a dirla tutta.» Non mentì neppure, perché aveva aperto una porta a caso per cercare rifugio in un reparto qualsiasi.

«Eppure lo sai che da queste parti non bazzicano più di due o tre medici» gli ricordò a bassa voce, raggiugendolo in prossimità della porta. «Quantomeno lo sapevi fino a qualche mese fa...»

«Taglia corto» sillabò Acke, lanciandogli un'occhiataccia. Riuscì perfino a storcere il naso con disprezzo, irritato dall'odore di tabacco bruciato.

«Non sei più venuto a trovarmi, Acke» lo rimproverò laconico. «Eppure c'è stato ben più di un caso che richiedeva l'intervento diagnostico.»

«Il Dottor Howard ha preferito occuparsene di persona.»

«Il Dottor Howard è come un topo di biblioteca» lo corresse con una risatina asciutta. Poi aspirò dalla sigaretta, indirizzò un'altra zaffata di fumo verso Acke e gli vide muovere il palmo con stizza. «Sai benissimo che non si muoverebbe dal proprio ufficio senza una ragione precisa.»

«Ha preferito seguire personalmente gli ultimi casi» mentì. «Il mio intervento non è stato necessario, anzi.»

«Tanto meglio!»

Acke batté le palpebre, mosse un passo verso la porta di metallo e venne subito afferrato da Duncan. Trasalì, deglutì a vuoto, poi balbettò l'unica cosa utile per togliersi da quella brutta situazione: «Dove le hai prese?»

«Cosa?» Duncan sorrise, avvicinandoselo con uno strattone e quasi mormorandogli in faccia.

Acke trattenne il fiato, sentendo il fastidioso aroma del tabacco bruciato nelle narici. «Le sigarette» disse. «Il Dottor Howard mi ha chiesto di reperirgli un pacchetto intero, ma non so dove andare a cercalo.» Chinò lo sguardo, lo fece solo per sfuggirgli, ma questo non fece altro che stuzzicare di più l'interpellato.

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