Capitolo 24

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Jeremy sentiva ancora il sapore delle labbra di Daniel addosso e non riusciva a dislocare i pensieri da quello che era successo nel suo bagno, al buio, lontano da occhi indiscreti e dalle orecchie di Sergej.

Tuttavia non era più lì. E sembrava un pesce fuor d'acqua: giocherellava con le chiavi dell'ascensore sul pianerottolo del terzo piano, fissava il proprio riflesso stravolto nello specchio dell'ascensore, incespicava sulle proprie scarpe lungo il corridoio del quinto piano.

L'idea di tornare indietro, di farlo ancora, di mandare a fanculo l'intera SRF per una scopata in più sembrava quasi allettante. Ma questo solo perché aveva la testa su di giri e le membra scosse dai brividi di piacere, sì.

Un ammonimento lieve, borbottato, che sembrava quasi l'eco della coscienza: «Non posso farlo.» Aveva le gambe un po' molli, il sesso ancora duro e gli ansimi di Daniel nelle orecchie. Stava impazzendo, sì, e se ne rese conto solo quando, raggiunto il salone, sbuffò per poi lasciarsi andare a un lungo sospiro.

Le dita tra i capelli, poi sul viso e ancora sulla nuca. Serrò i denti, si lascò cadere morbidamente sul divano e allentò la cintura dei pantaloni per darsi sollievo. Ma si ostinò a non proseguire, a non sbottonare neppure il primo dei cinque bottoni.

Deglutì. Un orgasmo era tutto ciò che aveva rimediato ed era tutto ciò che aveva desiderato – almeno in quel momento. Eppure, se solo si fosse fermato a pensare con più lucidità, si sarebbe trattenuto nel bagno di Daniel ancora a lungo. E lo avrebbe scopato ovunque, anche sul pavimento, perché quel rapporto gli era piaciuto così tanto da faticare a staccarsi quasi come fosse una cozza allo scoglio – così lo aveva apostrofato Daniel.

Sorrise tra sé e sé, sfilando una pasticca di Trazodne dal cuscino del divano per infilarsela in bocca e ingoiarla senz'acqua. Era certo di averla fatta franca, di aver fottuto Sergej e le sue perverse ossessioni. E rimase impassibile, trasognato, con i piedi accavallati sul bracciolo e lo sguardo fisso al corridoio. Sentì un lieve brusio provenire dal pianerottolo, ma non si mosse. Schiuse le labbra come per parlare, ponderò l'idea di cercare la Phoenix per poi ricordarsi di averla lasciata nell'armadietto del Poligono. E trattenne il fiato, sì, aggrottò perfino le sopracciglia. Solo allora comprese che qualcosa era andato storto – qualcosa di rilevante o irrilevante, qualcosa che gli era completamente sfuggito.

«Garner?» Azzardò, alzandosi dal divano con uno scatto felino. Si avvicinò al corridoio senza accendere le luci, ma poi venne inondato da quelle dei fucili d'assalto e strabuzzò gli occhi. Impietrito, spalancò la bocca di fronte alla propria porta sfondata a calci. Riuscì a dire soltanto un: «Ma che cazzo...» E non terminò la frase, perché venne colpito con il retro di un Kalashnikov in pieno petto. Boccheggiò, restrinse lo sguardo, cercò di sollevarlo per riconoscere parte delle figure che aveva dinanzi. Ma nessuno di loro era un membro dell'URC, tantomeno della sorveglianza della hall. Allora impallidì, lesse soltanto la sigla dell'SRF sui giubbotti antiproiettile di quelli che lo tenevano fermo e si beccò un gancio dritto in faccia, iniziando a sanguinare.

«Portatelo via!»

Quelle furono le ultime parole che Jeremy riuscì a sentire prima di svenire letteralmente tra le braccia dei tipi dell'SRF – prima di un altro colpo in faccia e prima di un'altra ginocchiata allo stomaco. Non comprese tanto accanimento, ma non aveva granché tempo per pensare nel buio pesto in cui era finito.

Quando rinvenne era dolorante, ammaccato e steso su quello che non sembrava affatto un lettino del Dipartimento Medico dell'SRF. Allora cercò di schiarirsi le idee, di guardarsi attorno, ma ciò che vide fu solo grigia penombra. «Dove sono?» Si chiese. Lo fece piano, tra sé e sé, nella sciocca ipotesi che potesse darsi una risposta plausibile. Poi si portò una mano alla testa, sentì un dolore lancinante pervadergli il cranio e capì di essere stato colpito più e più volte anche nell'incoscienza. Ritirò le dita a fatica e, con la vista appannata, vide tracce di sangue rappreso sui polpastrelli. Allora cercò di alzarsi, di studiare l'ambiente, di capire davvero cosa fosse successo.

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