Da quando il Comandante lo aveva atterrato, Jeremy non aveva fatto altro che concentrare la propria frustrazione sull'allenamento sfrenato. E che fosse nella palestra dell'edificio dell'URC o al Poligono, poco importava: doveva sfogarsi, doveva farlo prima di esplodere davvero e prima ancora di tirare fuori la verità – quella verità che, probabilmente, Daniel ignorava del tutto.
Aveva passato ore ininterrotte ad allenarsi nel corpo a corpo con Garner, a fare pesi con Moore, a puntare i bersagli mobili sul retro del Poligono. Ma non riusciva ad abbandonare quella sensazione d'impotenza, d'inettitudine, che lo squassava nell'animo. E più ci pensava più andava su tutte le furie.
Di tanto in tanto si lasciava scappare qualche imprecazione, lanciava le cuffie di protezione, posava l'AK-47 sul suolo erboso per chinarsi, puntellarsi sui calcagni e passare le mani tra i capelli con fare assorto. Lo sguardo fisso sulle sagome distrutte, le narici piene di polvere da sparo e i denti che non smettevano di serrarsi, di stridere tra loro.
«Cazzo» borbottò. Serrò la presa sui capelli fin quasi a strapparseli e ringhiò ancora: «Cazzo, cazzo, cazzo!» Poi si fermò, spostò lo sguardo verso destra e si mosse come un felino per raggiungere il Kalashnikov abbandonato. Con il fiato corto e lo sguardo vacuo, dopo aver puntato Garner per un paio di secondi, abbassò la guardia e deglutì. «Che c'è?»
«C'è che ti stai sfiancando troppo» lo rimproverò laconico, porgendogli un caffè. Lo sentì sbuffare, poi lo vide alzarsi per accettare l'offerta di pace. Solo allora continuò: «L'assalto alle fogne è tra due giorni, Hunt. Ti stai ammazzando senza motivo...»
«Le fogne?» Jeremy tentennò, quasi rischiò di strozzarsi con il caffè. Aggrottò le sopracciglia, puntando Garner con aria assorta. «Come sarebbe a dire? Quando mi avete trovato accanto al tombino non siete scesi a controllare che diavolo fosse successo?» Sbottò. Si notava a miglia di distanza quanto fosse nervoso, tanto che l'interpellato fece semplicemente spallucce. «Perché?» Continuò, insistette.
«Perché non era quella la nostra destinazione» minimizzò. «Dovevamo ripulire la zona, sì, ma dai trafficanti d'organi.»
«E nelle fogne non ci sono trafficanti d'organi» soffiò Jeremy. Lo vide annuire, così indurì i muscoli del viso e tracannò il caffè bollente. Si bruciò la lingua, il palato, perfino l'esofago, ma se ne infischiò bellamente. «Dunque era questa la fottuta sorpresa di cui parlava quella testa di cazzo...» borbottò acido, tornando a imbracciare l'AK-47. Inspirò a fondo, dimentico delle cuffie di protezione, e sparò a un paio di bersagli mobili fin quando l'orecchio ferito non iniziò a fischiargli. «'Fanculo!» Esclamò di getto, coprendoselo.
«Se fai il cretino...» ridacchiò Garner. E non finì la frase, raggiunse le cuffie protettive di Jeremy per porgergliele senza troppi giri di parole. «Vedi di non agire di testa tua anche durante l'assalto alle fogne, Hunt.»
Questi schioccò la lingua, lanciò uno sguardo incuriosito a Garner e si limitò a chiedere: «Cosa c'è là sotto che v'interessa sterminare?»
«Qualcosa che il Comandante non ha ancora avuto modo di spiegarci» borbottò.
«Lo incuriosisce il fatto che io sia uscito da un tombino in quelle condizioni pietose, ecco la verità» sputò con rabbia. Digrignò i denti, infilandosi le cuffie, e tornò a mirare, a puntare, a premere il grilletto fin quando le cartucce del Kalashnikov non furono terminate. Allora si fermò, inspirò a fondo l'odore della polvere da sparo e tornò a guardare Garner. «Non è così, forse?» Chiese.
«E io che ne so» fece, cercando di mantenersi sul vago. Poi si pose di profilo, tornò a sorseggiare il proprio caffè. Desiderava davvero che Jeremy non indagasse oltre, ma la verità era che non aveva la benché minima idea di quanto già sapesse.
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Butterfly Theorem
ActionJeremy Hunt ha perso tutto, ogni cosa: non ha un posto dove stare, tantomeno un motivo per continuare a vivere. Ma non è il né il primo né l'ultimo. Sono ancora gli anni Settanta, tuttavia sembra che le lancette del tempo si siano fermate da un pezz...