Capitolo 41

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Quando Acke riaprì gli occhi aveva la vista appannata e la testa confusa. Ricordava a stento cosa fosse successo un attimo prima dell'impatto, il perché sentisse dolore ovunque o si trovasse steso su un lettino del Dipartimento Medico dell'SRF. Ma il soffitto pallido, accecante, e il tono del Dottor Howard riuscirono a far esplodere quella sua bolla di sapone per rigettargli addosso ogni memoria.

«Ti sei svegliato, finalmente» disse. Lo sguardo torvo e la voce preoccupata. Poi si lasciò andare a un sospiro e abbassò la cartella medica di Acke con aria stanca.

Sul suo viso comparve un lieve sorriso. «Dottor Howard» lo chiamò. «Ho dormito tanto?» Chiese.

«Dire che tu abbia dormito sarebbe un eufemismo» lo riprese. «Hai perso i sensi prima di arrivare al Dipartimento Medico dell'SRF, poi sei rinvenuto durante il primo soccorso e hai iniziato a chiedere di me. Infine hai di nuovo perso i sensi...»

«Le ho dato parecchio da fare» commentò piano, non riuscendo neppure a ridere. Dopotutto, in parte, si sentiva in colpa.

«Parecchio, sì» confermò questi. «Non ho chiuso occhio, Acke. Mi hai fatto stare in pena tutta la notte.»

«Mi dispiace» soffiò.

«So che eri in compagnia del Dottor Halldórson, ma a lui non ho ancora ricevuto alcun rapporto in merito all'accaduto...» iniziò a dire, umettandosi le labbra secche. «Anzi, so che dopo essersi accertato del tuo stato di salute ha preferito uscire dall'edificio e darsi alla macchia.» Schioccò la lingua con una punta di fastidio. «Dicono che sia il suo giorno libero.»

«Non ne ho idea» borbottò Acke. Poi indurì appena i muscoli del viso e deglutì. Sapeva che il Dottor Howard avrebbe fatto di tutto per scoprire la verità, perciò avrebbe impiegato poco e niente a fargli vuotare il sacco.

«Perché eri in sua compagnia?»

«Non avrei dovuto?»

«Qualche tempo fa mi hai detto di non voler più avere niente a che fare con il reparto di diagnostica...» gli ricordò. «Da quel giorno hai fatto di tutto per mandarci me. Pensi che il Dottor Halldórson non mi abbia mai chiesto che fine avesse fatto il mio assistente? Pensi che io sia stupido, forse?»

«Non lo penso, no» negò solo a voce, improvvisamente memore di ciò che aveva provato quando, steso in terra sull'asfalto, aveva cercato di muoversi. «Ma non mi faccia il terzo grado, per favore...»

«Allora dimmi perché eri con lui» scandì. «Dimmi perché il Dottor Halldórson ha dichiarato che ti sei gettato da un'auto in corsa – che presumo sia sua.»

Acke deglutì, si sentiva sottopressione. Tuttavia sapeva che avrebbe dovuto parlare, che ormai sarebbe stato doveroso. Allora, quasi inconsciamente, disse: «Posso partire dall'inizio?»

«Puoi fare quello che vuoi, Acke, ma vorrei che mi dicessi solo la verità.»

«Solo la verità» echeggiò. «Bene...» Prese un bel respiro, contò fino a dieci per riordinarsi le idee e poi riprese: «Il Dottor Halldórson è la persona dalla quale sono riuscito ad avere quel pacchetto di sigarette, Dottor Howard.» Gli vide battere le palpebre con fare confuso, quasi agitato. «Ma non è colpa sua se ho deciso di prendermi la serata libera. No, non è colpa delle sigarette.»

Questi si lasciò andare a un piccolo sospiro di sollievo, abbandonando per un attimo il senso di colpa. Se la causa fosse stato lui, in fondo, non sarebbe mai riuscito a perdonarsi.

«Quel giorno, però, il Dottor Halldórson mi aveva parlato di come riuscisse ad avere le sigarette senza problemi e di come avesse eluso le imposizioni della Terza Armata. Mi disse che aveva un contatto, che conosceva un tale in grado di aiutarlo nella compravendita... Insomma, mi fece intendere di avere un aggancio con qualcuno poco raccomandabile.»

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