PRIMA PARTE: ADOLESCENCE

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Zia Margaret non è solo una donna bellissima, è anche molto intelligente e forte.

Ha solo un punto debole: gli uomini.

Sfortunatamente è sempre caduta tra le braccia di soggetti poco raccomandabili, quasi perennemente attaccati ad una lattina di birra e con la tendenza ad alzare facilmente le mani.

A sedici anni si è innamorata per la prima volta, a diciotto è scappata di casa per sposarsi ed a ventuno è rimasta incinta di James, il suo primo ed unico figlio; il matrimonio, però, è durato pochi mesi ed è terminato lo stesso giorno in cui suo marito l'ha colpita, con un pugno in pieno viso, a causa di una bistecca troppo al sangue.

Il secondo marito, addirittura, si è spinto perfino a picchiare James, spaccandogli in testa un portacenere di vetro, sempre a causa di un motivo futile.

Nessuno, in città, ha più rivisto i due uomini e c'è chi, a bassa voce, ancora adesso insinua che in realtà non hanno mai abbandonato la casa di Meg e che i loro corpi sono ben nascosti in una fossa in giardino, o all'interno del congelatore che c'è nel capanno degli attrezzi.

Ovviamente sono tutte enormi cazzate: la gente parla perché ha la bocca per farlo, sopratutto in una piccola città del Sud come Conecuh County, dove non accade mai nulla d'interessante.

Tuttavia io e mio cugino evitiamo accuratamente di avvicinarci al congelatore.

"Stiamo andando da mia madre?" le domando, mentre saliamo in macchina, la sua risposta non tarda ad arrivare e frantuma in un solo secondo tutte le mie speranze.

"No, non stiamo andando da lei"

"E dove siamo diretti?"

"Non te lo posso dire"

"Tutta questa segretezza è assolutamente ridicola" commento, incrociando le braccia all'altezza del petto; continuo a fissare lo specchietto retrovisore, ma zia Margaret evita accuratamente il mio sguardo accusatore fino a quando non arriviamo a destinazione.

Attraverso insieme a lei un enorme parcheggio, ma quando siamo a pochi passi di distanza da un edificio completamente bianco mi blocco all'improvviso; Meg se ne accorge e torna subito da me, con la gonna che svolazza leggermente all'altezza delle ginocchia.

"Che succede? Perché ti sei fermato?" domanda, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio destro.

Non rispondo.

Corro in direzione della macchina, entro nel piccolo abitacolo e blocco le portiere appena in tempo per impedire a Meg di spalancarne una; prova a tirare più volte tutte le maniglie, ma alla fine si arrende e inizia a battere le mani contro uno dei finestrini, urlandomi di scendere subito.

"No!" grido a mia volta "ho capito dove mi stai portando. Ho capito che cos'è quell'edificio. Io non ho bisogno di vedere uno strizzacervelli".

A questo punto lei si blocca, non prova neppure ad inventare una bugia, ed il suo silenzio è proprio la conferma che stavo aspettando.

"Theodore Bagwell, se non apri subito le portiere della mia macchina giuro che ti metterò in punizione per tutto il resto della tua vita. Sono stata abbastanza chiara?"

"Meglio! Preferisco essere in punizione per tutto il resto della mia vita piuttosto che andare da uno strizzacervelli. Sono stati i dottori a dirti che devo vedere uno specialista? Non ne ho bisogno. Sto benissimo ed il mio cervello funziona perfettamente. Preferisci credere a me o ad un uomo che hai visto una sola volta per qualche minuto?"

"Se apri questa macchina possiamo parlarne con più calma, Teddy, altrimenti mi rifiuto di dare delle spiegazioni ad un bambino che continua a fare i capricci".

Cedo al suo ricatto ed esco finalmente dalla macchina, sbattendo con forza la portiera.

Appoggio entrambe le mani sui fianchi e mi preparo allo scontro verbale.

"Avanti. Ti ascolto"

"La situazione è questa: se vuoi vivere con me e James, devi essere seguito da uno psicologo per alcuni mesi"

"Per quale motivo?"

"Teddy..." sospira Margaret, visibilmente imbarazzata, molto probabilmente perché non sa come continuare il discorso o perché non sa trovare le parole più adatte "quando i soccorsi sono arrivati a casa tua hanno... Hanno trovato una situazione molto particolare, e proprio per questo motivo hanno portato in ospedale anche tua madre e te. I dottori hanno provato a salvare tuo padre, ma non ci sono riusciti, così si sono concentrati su Audrey ed hanno subito capito che per lei non c'era altra soluzione, se non il trasferimento in una clinica specializzata in casi come il suo. Per il momento sei stato affidato a me, ma devi andare uno psicologo che valuterà che cosa sarà meglio per te"

"Stai dicendo che uno sconosciuto dovrà decidere se per me è meglio vivere con mia zia e mio cugino o essere affidato ad un'altra famiglia? Questo... Questo non ha assolutamente alcun senso. E se vengo affidato a degli estranei come potrò vedere mia madre? Io non... Io non capisco. Non capisco questo ragionamento. Io sto bene con voi. Siete i miei unici parenti. Io non..."

"Teddy... Teddy... Teddy, calmati" mormora mia zia; lascia cadere a terra la borsetta che ha con sé ed appoggia entrambe le mani sulle mie guance per rassicurarmi "anche se c'è questa eventualità, faremo di tutto perché non diventi concreta. Tu devi semplicemente rispondere alle domande dello psicologo, io penserò a tutto il resto. D'accordo?".

Annuisco, solo per non farla preoccupare ulteriormente, prima di seguirla dentro la struttura.

L'interno, se possibile, è ancora più disgustoso dell'esterno: ogni cosa è quasi completamente bianca e nell'aria aleggia l'odore di prodotti sterilizzanti, gli stessi utilizzati nei reparti ospedalieri.

Resto in sala d'attesa, in silenzio, fino al momento in cui una giovane donna, probabilmente un'infermiera, legge il mio nome da una cartellina rigida per poi condurmi in un piccolo Studio.

Meg mi rivolge un sorriso d'incoraggiamento pochi istanti prima che la porta venga chiusa con un tonfo sordo, ma serve a ben poco.

"Accomodati".

A parlare è un uomo seduto dietro ad un'elegante scrivania: indossa un lungo camice bianco e nella mano destra impugna già una penna per prendere chissà quali appunti, sicuramente in base alle mie risposte; il suo viso magro, i capelli grigi e gli occhiali dalle montature nere mi provocano subito una profonda irritazione ed antipatia nei suoi confronti.

Indica un lungo divanetto nero su cui io mi sdraio, ma prima che possa dire altro lo interrompo, alzando la mano destra.

"So per quale motivo mi trovo qui" dico, senza lasciar trasparire alcuna emozione dal mio viso "mia zia mi ha spiegato ogni cosa mentre eravamo nel parcheggio. Io sto bene con lei e mio cugino, non sono intenzionato ad andare a vivere in una famiglia di completi sconosciuti, sono stato chiaro?"

"Si, Theodore, sei stato molto chiaro. Ma devi lasciare a noi esperti il compito di valutare che cosa è meglio per te" risponde prontamente lo psicologo, con un sorriso che ai miei occhi appare viscido; ero sicuro che avrebbe pronunciato parole simili, e così sorrido a mia volta ed incrocio le braccia all'altezza del petto.

"Benissimo. Allora non sentirà una sola parola uscire dalle mie labbra durante il corso di ogni singola seduta".

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