"Che cosa ti preoccupa, Theodore?".
La domanda, formulata dal mio psicologo, mi riporta spiacevolmente alla realtà: giro leggermente il volto verso sinistra e guardo l'uomo, che si limita a fare lo stesso da dietro la sua scrivania.
"Come?"
"Hai i muscoli del viso completamente tesi, che cosa ti preoccupa? Lo sai che sei qui per parlarmi di qualunque cosa" risponde lui, e fa una cosa che mi sorprende: appoggia la penna che ha in mano sulla scrivania e chiude il taccuino; evidentemente deve aver intuito il nervosismo che quei due oggetti provocano in me "quante sedute abbiamo fatto finora? Quattro? Cinque? Tutte nel più totale silenzio. Non ti ho mai costretto a parlare, ma non credi che sia arrivato il momento di farlo? Se c'è qualche peso che ti tormenta... Anche la più piccola sciocchezza... Io sono qui per questo. Sono qui per ascoltare tutto quello che non hai il coraggio di confessare a tua zia o a tuo cugino"
"Io non sono un codardo e non ho alcuna intenzione di pronunciare una sola parola davanti ad uno sconosciuto che crede di essere il padrone del mio destino"
"Sei davvero convinto che il silenzio ti aiuterà ad ottenere quello che vuoi?"
"Che cosa vuoi dire?" chiedo, corrucciando le sopracciglia.
"Potrei interpretare il tuo silenzio come il segno che stai nascondendo qualcosa di grave che non vuoi rivelare a nessuno, neppure al tuo psicologo, e questo potrebbe spingermi a considerare in modo più concreto la possibilità di darti ad una famiglia affidataria" spiega, in tono tranquillo; spalanco gli occhi, perché anche se sono solo un ragazzino, so riconoscere benissimo una minaccia "ma forse possiamo trovare un punto d'accordo per evitare tutto questo, giusto? Forse posso offrirti un compromesso in cambio di sentire qualche parola uscire dalla tua bocca".
Mi mordo la punta della lingua ed impreco mentalmente.
La mia stessa arma mi si è appena rivolta contro: non posso uscire da questa situazione perché mi trovo con le spalle contro il muro, tutto ciò che posso fare è cercare di volgerla a mio vantaggio.
"Se vuole sentire la mia voce c'è solo un modo" dico, allora, senza mai smettere di guardarlo negli occhi "voglio vedere mia madre. Tutti i giorni, per almeno un'ora. E inizierò a parlare dopo il primo incontro, quindi farà meglio ad organizzarlo il prima possibile".
L'uomo scoppia a ridere dopo aver ascoltato le mie parole, si toglie gli occhiali e si passa entrambe le mani sul viso.
"Pensi di essere tu a dettare le regole, Theodore? Hai appena quattordici anni ed è chiaro che non hai la minima idea di come funziona il mondo. Posso farti vedere tua madre, ma solo un giorno a settimana, e se il tuo mutismo continuerà, le visite s'interromperanno bruscamente. Per sempre"
"Non sta parlando seriamente. Non può impedirmi di vedere mia madre!"
"Io posso fare tutto ciò che ritengo essere giusto per il tuo futuro, Theodore, e se questo comprende anche impedirti di vedere tua madre, allora lo farò".
Mi mordo nuovamente la punta della lingua e stringo le mani a pugno: vorrei picchiare lo psicologo, ma sarebbe una mossa troppo stupida, che porterebbe con sé conseguenze irrimediabili.
Chiudo gli occhi, provo a rilassarmi e mi ritrovo costretto ad accettare le sue condizioni.
"D'accordo, accetto. Vedrò mia madre una sola volta a settimana, ma inizierò a parlare dopo il primo incontro. Su questo sono categorico" sussurro, sforzandomi di sorridere.
Vedrò mia madre, alla fine è questo ciò che conta veramente.
Quando arriva il giorno della visita, mentre sono in macchina, decido di confessare a zia Margaret cosa si nasconde dietro il permesso che sono riuscito ad ottenere, soffermandomi in particolar modo sul ricatto che ho ricevuto dallo psicologo.
Sorprendentemente non ricevo alcun appoggio da parte sua, anzi, si schiera in modo fermo da quella dell'uomo.
"Ha fatto bene" commenta, scuotendo la testa "ti ha ripagato con la tua stessa moneta, Teddy. Tu sei un ragazzino che si diverte a giocare ad essere un adulto, ma non è così"
"Non puoi essere dalla sua parte! Mi ha minacciato! Hai ascoltato le parole che ti ho detto? Mi consente di vedere mia madre una sola volta a settimana e se non inizio a parlare..."
"Ed io ti ripeto, Teddy, che hai avuto esattamente quello che meritavi. Sai che cosa significa 'tirare troppo la corda'? Tu lo hai fatto: la corda si e spezzata e non può essere riparata" m'interrompe Meg, alzando la voce; si pente subito della reazione brusca che ha avuto, sospira e torna a parlarmi con voce più calma e tranquilla "si tratta solo di pochi mesi. Cerca di resistere. E quando tutto sarà finito, potrai vederla tutte le volte che vorrai, d'accordo? Io non sono intenzionata a tenerti lontano da tua madre, tesoro, ma finché sarai seguito da quel dottore non posso fare nulla"
"Mamma ha ragione" interviene James, che fino a questo momento ha ascoltato l'intero litigio in silenzio, con le braccia avvolte attorno ai fianchi "devi solo portare pazienza per pochi mesi. Se dirai al dottore esattamente quello che vuole sentirsi dire, ogni cosa finirà il prima possibile: tu potrai stare con noi e vedrai tua madre quando vorrai"
"Ma non capite che non è così semplice?" grido, esasperato, passandomi entrambe le mani nei capelli "non capite che quel dottore non mi farà mai stare con voi? Sono sicuro che mi darà in affidamento a qualche famiglia lontana da qui! Magari perfino lontana dall'Alabama!"
"Ci penseremo tra qualche mese" risponde mia zia, parcheggiando la macchina "siamo arrivati".
È dura stare lontani da una persona che si ama e, quando arriva il momento del ricongiungimento, tutto ciò che si desidera è abbracciare quella persona e non abbandonarla mai più.
Purtroppo io non posso farlo.
E non si tratta solo del fatto che ho appena un'ora a settimana a mia disposizione per stare con lei.
Mia madre è affetta da un grave deficit mentale: non solo non è in grado di badare in modo autonomo a sé stessa, ma non sa neppure di avere un figlio.
"Ehi..." mormoro, prendendo posto in una sedia posizionata affianco al suo letto "scusami se non sono venuto prima a farmi visita, ma non me lo hanno permesso".
Lei solleva lo sguardo, ma come sempre i suoi occhi non mi vedono veramente; appoggia una mano sulla mia guancia destra e basta questo gesto per spingermi ad un solo passo di distanza da una crisi di pianto.
Allontano con gentilezza la sua mano, ma la tengo stretta tra le mie per tutto il tempo che abbiamo a nostra disposizione: continuo a parlare per un'ora intera, senza mai fermarmi un solo istante, raccontandole dello psicologo e delle giornate che trascorro in compagnia di Margaret e James; ben presto i suoi occhi tornano a fissare un punto lontano e indefinito.
È mia zia ad entrare nella stanza per avvisarmi che è ora di tornare a casa, ed io non posso fare altro che obbedire per non aggravare la mia posizione: appoggio le labbra sulla fronte di mia madre e me ne vado senza dire una sola parola.
Resto in silenzio anche per tutto il viaggio di ritorno, e trovo il coraggio di sfogarmi solo quando io e Jimmy siamo da soli, in camera da letto.
Scoppio in lacrime e lo abbraccio, sfogando tutta la tensione che ho accumulato nell'ultimo periodo.
"Coraggio, Teddy, andrà tutto bene" mormora, provando inutilmente a calmarmi.
Vorrei tanto credergli, ma una voce nella mia testa inizia a ripetere che non sarà così, che nulla andrà mai bene e nulla si sistemerà.
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Alabama's Monster; Prison Break (✔️)
FanfictionPREQUEL DI 'LIKE A PRAYER'. "Non stiamo parlando di pazzia, ma c'è il serio rischio che quel seme possa depositarsi e germogliare, signora, se non interveniamo in tempo. La società rischierebbe di doversi occupare, un giorno, di un soggetto pericolo...