Capitolo 45

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Cam

La luce entrava fioca nel salotto, ero mezzo disteso sul divano con le gambe penzolanti, la televisione accesa. Era almeno il quinto programma che guardavo di fila ma non lo stavo seguendo realmente, anzi. La mia mente era completamente assente.

Mi chiesi come faceva la gente a scendere dal letto dopo una nottataccia trascorsa a bere ogni sorta di liquido alcolico esistente, come riusciva ad alzarsi e a trovare una ragione per andare avanti e affrontare la vita?

Erano passati cinque lunghi ed estenuanti giorni da quando Erin mi aveva lasciato, avevo finito tutto l'alcool che tenevamo in casa e fuori questione era l'opzione di uscire per acquistarne dell'altro, avevo distrutto la mia camera rendendola come un territorio caduto sotto una guerra senza sopravvissuti, avevo cercato di cancellare completamente il posto in cui era tutto finito, ogni dettaglio che mi portava a pensare a lei.

Non avevo fatto altro che bere e dormire a causa della sbornia, non mi interessava di niente e di nessuno. Travis aveva provato a parlarmi, avevo guardato la sua immagine sfocata muoversi lentamente senza riuscire a percepire alcun suono. Non poteva fregarmene di meno di tutto ciò che mi circondava. La mia stanza era talmente piena di ricordi di me e lei che avevo deciso di spostare il resto della mia misera esistenza sul divano, era diventato il mio letto, il mio unico amico insieme all'alcool.

Non sapevo dire con certezza quanto tempo avessi trascorso sul divano a fissare il soffitto, la mia mente era vuota, nessun pensiero illogico o razionale. Ero vuoto, non provavo niente. Fame, sete, sonno. Niente di niente.

Passai dei momenti davvero orrendi, per non dire infernali. Continui pensieri di Erin mi affollarono la testa senza preavviso. La vedevo accanto a me che mi guardava con quei suoi occhini azzurri o che mi sorrideva, la immaginavo girovagare per casa, abbracciarmi e baciarmi. Ma lei non c'era, lei se ne era andata lasciandomi come se contassi meno di zero.

Dopo molte ore riuscii a trovare un briciolo di forza e cominciai ad ignorare il dolore che sentivo crescere dentro a causa della sua mancanza nonostante continuassi a girarmi nella speranza di vederla. Desideravo chiamarla ma non riuscii a trovare la forza per farlo. Trascorsi pomeriggi interi a fare zapping tra i noiosi programmi in TV senza soffermarmi veramente a guardarne uno.

Le sbornie sembravano eterne, con la mente annebbiata e la vista non perfettamente a fuoco avevo preso il cellulare per guardare le sue foto, non ricordavo di avergliene scattare così tante e da una parte ne fui felice, quelle immagini imprigionavano momenti che non sarebbero mai cambiati, che il tempo non avrebbe mai potuto intaccare. Mentre le guardavo, cercavo di immaginare il suono della sua voce fino a quando mi soffermai su una foto in particolare, la più bella secondo me. Erin era seduta sul davanzale della finestra della sua camera, le ginocchia strette al petto, lo sguardo pensieroso perso oltre il vetro mentre la neve cadeva senza sosta, le labbra tese nell'ombra di un sorriso. Provai un dolore atroce al centro del petto nel rivedere quella foto, istintivamente mi chiesi se lei mi avesse mai pensato negli ultimi giorni come io pensavo a lei.

Probabilmente no.

Presi il telefono e lo lanciai contro il muro facendolo andare in mille pezzi, dovetti fare affidamento su tutte le mie forze per impedirmi di distruggere il resto della casa, mi prudevano le mani e la voglia di spaccare qualcosa batteva frenetica nelle vene. Sentivo l'assoluta necessità di sfogarmi in un modo o nell'altro, così senza pensarci due volte infilai una vecchia tuta e uscii a correre. Non avevo più la percezione del tempo, non sapevo quanto avessi corso, tanto meno quanti chilometri avessi fatto, sapevo solo che avevo il cuore che batteva all'impazzata, i polmoni faticavano a respirare e le gambe bruciavano. Tornato a casa mi infilai subito in doccia e cercai di lavare via tutto il marcio che percepivo dentro di me.

La ragazza con il cuore di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora