Capitolo 44

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Cam

Mi svegliai tirando un profondo respiro, il sorriso nacque spontaneo sulle mie labbra mentre le sensazioni provate quella stessa notte continuavano a fluire nelle mie vene e, per non lasciarle sfumare, mi voltai senza aprire gli occhi, allungai una mano sfiorando la parte di materasso accanto a me ma la trovai vuota. D'impulso aprii gli occhi domandandomi dove fosse finita Erin, avevo ancora la vista appannata a causa del sonno, solo pochi istanti dopo riuscii a mettere a fuoco la stanza nonostante fosse ancora avvolta in una semioscurità. L'unica luce che tagliava di netto la penombra era quella che filtrava dalle fessure delle persiane, il giorno non aveva tardato ad affacciarsi sulla città.

Di nuovo, le mie labbra si tesero in un sorriso quando la vidi, era seduta sulla sedia di fronte alla finestra, lo sguardo perso oltre il vetro, una gamba stretta al petto e l'espressione pensierosa. Accarezzai ogni singolo centimetro del suo bellissimo profilo illuminato dalla luce del mattino, il mio cuore prese a battere più frenetico al solo pensiero che lei avesse scelto me tra tanti altri.

Mi sollevai sul gomito strofinandomi gli occhi per scacciare ogni traccia di sonno, quindi tirai un profondo respiro rilassato pensando che non potesse esserci niente di meglio in questo mondo.

<< Ehi. >> mormorai e lei si voltò immediatamente inchiodandomi lì sul posto con due occhi di ghiaccio.

Tremai all'istante, c'era qualcosa di diverso, qualcosa che mi iniettò la paura nelle vene. Aprii bocca per dire qualcosa e mi ritrovai a boccheggiare nella disperata ricerca di un po' d'aria come se qualcuno avesse stretto le sue mani intorno al mio collo.

Il fuoco nel mio corpo divenne ghiaccio all'istante percependo la distanza che si era creata tra noi oltre a quei due metri che ci separavano.

<< Rin. >> mi alzai velocemente e le arrivai di fronte ma distolse lo sguardo tornando a fissare fuori dalla finestra, i lineamenti del viso tesi.

Mi inginocchiai davanti a lei, quel suo silenzio mi stava uccidendo, feci per prenderle la mano ma la ritrasse ancor prima che la sfiorassi.

<< Piccola. >> mormorai nonostante la voce faticasse ad uscire.

<< Non sono la tua piccola. >> replicò assottigliando gli occhi e alzando un angolo delle labbra in un ghigno che non avevo mai visto e che mi spiazzò letteralmente. << Sono stanca di recitare la parte della ragazza innamorata in questo mediocre teatrino di seconda mano, sono stanca di fingere che mi importi realmente qualcosa di te. >>

<< Cosa? >> balbettai, gli occhi sbarrati, la gola secca, il cuore a mille che minacciava di esplodermi. << Stai scherzando, ti stai prendendo gioco di me. Non ci credo che non ti importi niente di me, non dopo ieri sera. Non ci credo, non è possibile, no. >> iniziai a dire in preda al panico.

Il suo ghigno si accentuò ancora di più.

<< Non ti amo, non ti ho mai amato! >>

<< Non è vero. >> continuai a ripetere come un disco rotto.

<< Sono stata con te solo per abitudine ma adesso sono stanca di giocare, non provo niente per te se non una grande pena. Non avrai creduto seriamente che fossi innamorata o che mi fosse mai importato qualcosa di te, vero? >>

<< Stai mentendo! >> dissi a denti stretti, i pugni chiusi sulle gambe.

Una risata le uscì dalle labbra, poi chinò la testa di lato con espressione soddisfatta. << Non hai ancora capito? Non sei stato altro che un gradevole passatempo col quale distrarmi, un giocattolo, una marionetta da muovere a mio piacimento. >>

No, non è vero, ripetevo mentalmente quelle parole sperando che diventassero reali, ma non fu così, anzi. Più la guardavo, più sentivo che c'erano così tanti segreti che continuavano a dividerci, segreti che non mi avrebbe mai confessato e che diedero vita a un abisso senza fondo che ci allontanava ancora di più. Era lontana, lontana anni luce da me, era come un guscio privato delle emozioni.

Il respiro si accorciava sempre di più mentre iniziavo a prendere coscienza di cosa significassero le sue parole. Cominciai ad estraniarmi da quella stanza fin troppo piccola e, in quel momento, l'unico rumore che riuscii a percepire era quello del mio cuore che stava letteralmente cadendo a pezzi.

Erin era sempre lì, di fronte a me, mi guardava immobile con i suoi occhi di ghiaccio terribilmente impenetrabili, le sue labbra erano tese in una linea sottile e, per un altro istante, sperai si trattasse solo di un brutto sogno. Non poteva essere vero, non poteva dire sul serio. Eppure, il suo sguardo gelido non lasciava trapelare alcun velo di ironia.

Il mio cuore smise di battere all'istante mentre la consapevolezza della situazione iniziò a farsi largo dentro di me scardinando e distruggendo ogni certezza che avevo accuratamente costruito fino a quel momento. Mi stava lasciando, per tutto quel tempo mi ero illuso che potesse amarmi realmente.

Cominciai ad entrare nel panico e lasciai che il dolore mi invadesse, lo avevo sempre represso ma adesso non mi importava, avrei lasciato che mi annientasse fino ad annullarmi completamente.

Aprii bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa per farle cambiare idea, ma la voce non sembrava intenzionata ad uscire. Poi, Erin si alzò e, senza degnarmi di uno sguardo, mi lasciò lì, solo nella mia camera con il dolore, in ginocchio per terra di fronte ad una sedia vuota.

Non sapevo cosa fare.

Era finita, tutto era finito.

Forse, se mi fossi alzato e l'avessi raggiunta, sarei riuscito a convincerla a restare, a fare marcia indietro. No, non lo avrebbe mai fatto, sapevo che non sarebbe mai tornata sulle sue scelte. Avevo visto i suoi occhi spegnersi lentamente sempre di più fino a diventare una lastra di ghiaccio, mi aveva guardato mentre mi sentivo morire secondo dopo secondo, mentre tutto di me andava in frantumi, tuttavia non si era smossa di un solo millimetro.

Respirai a fatica, dentro di me due sentimenti contrastanti si facevano guerra tra loro. Una parte era convinta che sarebbe tornata, forse il giorno dopo o quello successivo, mi avrebbe chiesto scusa dicendo che erano tutte stronzate e io l'avrei stretta a me per non lasciarla andare mai più. L'altra parte, invece, si era arresa completamente.

Non sapevo dire quanto tempo passò prima che riuscissi ad alzarmi e avvicinarmi a quella maledetta sedia. Quando lo feci, crollai di nuovo e, questa volta, non mi trattenni.

Afferrai velocemente la sedia e, con la stessa velocità, la scagliai contro il muro, la presi di nuovo e non mi fermai finché non la ridussi in mille pezzi. Ad ogni colpo la rabbia aumentava, non ero più in me, non riuscivo a controllarmi, il mio petto si stava squarciando. Mi guardai intorno e i ricordi mi aggredirono, la mente già incasinata da altri mille pensieri contrastanti che non riuscivano a trovare un minimo di accordo.

Il mio corpo venne scosso da un tremito, mi fiondai sulla scrivania e buttai a terra tutto ciò che c'era sopra, poi feci lo stesso con la libreria e tutto il resto della camera.

Avevo fatto di tutto pur di risanare le sue ferite, pur di riempire i suoi vuoti e, adesso, era finita.

Il pavimento era diventato un vero campo di battaglia. Libri, vestiti, pezzi di vetro erano sparsi in ogni dove. Quando non trovai altro da distruggere, mi avvicinai al letto e mi lasciai cadere privo di forza fissando i miei occhi stanchi sul pallido soffitto sperando di vederla tornare o, almeno, di svegliarmi da quell'incubo.

Ovviamente non era un sogno, tanto meno un'illusione, così la realtà mi investì come un treno in piena corsa, un dolore intenso mai provato si fece largo dentro di me, un tormento che avrebbe finito con lo schiacciarmi.

Adesso, potevo dire con certezza di sapere cosa fosse l'inferno.

La ragazza con il cuore di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora