Capitolo 42

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4 anni prima

Erin

I vestiti strappati, il corpo travolto dal dolore e dal freddo, avevo perso la percezione delle cose, del tempo. Deglutii e fu come se avessi ingoiato una manciata di vetri rotti, cercai di muovermi ma il mio corpo non reagiva ai comandi, ero a terra e non sentivo il mio cuore battere. Forse ero semplicemente morta, finalmente la vecchia signora aveva avuto la meglio. Eppure, quella piccola punta di dolore che sentivo espandersi in tutto il corpo mi suggeriva che, purtroppo, non era così. Purtroppo perché significava che non era finita, che l'incubo era ancora realtà, che il male avrebbe continuato a tormentarmi nonostante avessi perso ogni forza e voglia di lottare. Non c'era niente da fare, loro avrebbero vinto sempre.

Tirai su col naso rabbrividendo, sentivo ancora su di me il freddo di quelle mani, quello sgradevole respiro che puzzava d'alcool e fumo sulla mia pelle. Non sapevo quanto tempo fosse trascorso, dieci minuti o un'ora, il tempo passa in secondo piano quando ti ritrovi intrappolata in un incubo senza via d'uscita, quando passi ogni secondo con la speranza di svegliarti, con la speranza che tutto finisca.

Una lacrima mi rigò la guancia mentre le mie labbra si tesero in un sorriso forzato, avevo ancora davanti agli occhi il viso di Cam, la pelle pallida e lo sguardo che si stava spegnendo lentamente. Però, ero felice di essere riuscita a salvarlo, a cacciarlo da quell'inferno.

Feci un profondo respiro cercando di tirarmi su o anche solo di muovermi con le poche forze che mi erano rimaste. Riuscii a tenermi in piedi nonostante la forza di gravità mi spingesse contro il pavimento, mi avvicinai barcollante allo specchio e, per la prima volta, non ebbi il terrore di incrociare quel riflesso. Rimasi a fissarlo a testa alta in segno di sfida, un sorriso sgradevole era dipinto su quel volto, sembrava che anche lei trovasse divertente il vedermi in quello stato pietoso. Osservai quel paio di occhi azzurri completamente spenti, il viso pallido in disaccordo con il colore nero e viola che tappezzava la pelle in ogni parte del corpo, i capelli neri le ricadevano sulle spalle, la maglietta strappata, quasi inesistente. Deglutii mentre l'odio mi divampò dentro come un incendio, contrassi la mascella serrando i pugni, raccolsi tutte le energie che mi erano rimaste e colpii lo specchio con forza.

Il vetro si crepò.

Le lacrime cominciarono a fuoriuscire, continuai a colpire con violenza lo specchio che cominciò ad andare in pezzi. Più colpivo, più la rabbia aumentava, ad ogni colpo un tonfo sordo di vetri che si frantumavano a terra. Il mio corpo venne scosso dai brividi ma niente riusciva a fermarmi. Dei piccoli frammenti mi tagliarono la pelle come se fosse un pezzo di carta lasciandomi addosso delle scie di sangue, volevo farla finita, distruggere quella prigione, distruggere quel riflesso che mi seguiva da anni e mi guardava con arroganza.

<< Erin! >> una voce dura risuonò oltre la porta della stanza.

Rabbrividii mentre il mio corpo cominciò a tremare fino a trascinarmi di nuovo a terra tra i pezzi di vetro sparsi sul parquet. Avevo paura, nausea, un forte martellare mi sfondava le tempie. L'istante dopo mia madre entrò nella stanza avvicinandosi col portamento di un perfetto comandante dell'esercito che avrebbe fatto tremare chiunque.

<< Quando ti chiamo devi rispondere, chiaro? >>

Cercai di annuire ma non ci riuscii, non riuscivo a muovermi, ero completamente paralizzata.

Mi lanciò uno sguardo altezzoso mentre un ghigno si faceva largo sul suo viso, poi si chinò fino ad arrivare al mio livello, avvicinò una mano e, istintivamente, chiusi gli occhi terrorizzata. Li riaprii solo quando la sentii accarezzarmi come non pensavo avrebbe mai fatto, come non aveva mai fatto fin da quando avevo ricordo.

La ragazza con il cuore di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora