Capitolo 15

26 5 0
                                    

10 anni prima

Cam

Gli alberi erano ricoperti da tanti bellissimi fiori, il sole splendeva alto nel cielo, i suoi raggi riscaldavano l'aria. Camminavo per il marciapiede guardando attentamente la strada prima di attraversare sulle strisce. Mia mamma sarebbe stata molto fiera di me, seguivo le sue raccomandazioni come se fossero legge. Una frase che mi ripeteva sempre era "stai attento per strada, cerca di non distrarti perché può essere molto pericoloso". In realtà, se facevo esattamente quello che mi diceva era perché mi rendeva felice vedere il suo sorriso quando rientravo a casa.

Adesso, però, la mia mente era legata a un altro pensiero. Più mi avvicinavo, più desideravo sbrigarmi per arrivare il prima possibile.

I miei passi si fecero più veloci, praticamente stavo correndo. Lasciai che l'aria mi riempisse i polmoni mentre la felicità mi invase quando vidi la casa da lontano. Corsi sempre più veloce inchiodando all'inizio del vialetto. Le mie labbra si tesero in un sorriso nello stesso istante in cui la notai sdraiata in mezzo al prato, i piedi incrociati tra loro che dondolavano in aria.

Mi avvicinai e la vidi tenere un pennarello rosso in mano.

<< Che fai? >> le domandai nonostante la risposta fosse ovvia.

Erin non distolse lo sguardo dal foglio e scrollò le spalle. << Sto colorando. >>

Rimasi in silenzio, poi mi sedetti a gambe incrociate di fronte a lei. Scrutai il suo viso concentrato sul disegno, quindi abbassai lo sguardo sul foglio. Chinai la testa di lato confuso, una serie di perché mi affollarono la mente.

<< Perché un foglio nero? >>

I suoi occhi azzurri si intrecciarono ai miei, un lieve sorriso si fece largo sul suo viso prima che tornasse a colorare. << Perché voglio imparare a colorare il buio. >> rispose con così tanta convinzione che tutti i miei perché vennero spazzati via come polvere al vento.

Mi morsi l'interno della guancia sempre più confuso.

Come si poteva colorare il buio? Era impossibile.

Però, qualcosa mi impedì di farglielo notare, così mi limitai a continuare a guardarla. Il suo sguardo era talmente sereno che mi persi in quei delicati lineamenti. Uno strano calore si impossesso del mio stomaco, pensai fosse per la fame ma avevo fatto merenda prima di uscire di casa. Scartai subito quell'opzione. Di certo, la sensazione era legata a Erin, proprio come ogni volta che le ero vicino.

<< Posso aiutarti? >> chiesi grattandomi la nuca per l'imbarazzo.

Alla mia domanda sollevò lo sguardo, non c'era l'ombra di un sorriso, bensì solo sgomento. Mi studiò attentamente per un lungo istante che mi fece pentire di averglielo chiesto. Poi, lasciandomi sorpreso, mi porse il pennarello che stava usando. Lo afferrai continuando a guardarla mentre lei ne prendeva uno verde e riprese a colorare.

Mi stesi sul prato nella sua stessa posizione e iniziai a passare la punta del pennarello su quel foglio nero. Per quanto potesse sembrare stupido, la cosa iniziò a piacermi. L'idea di aiutarla a colorare il buio, il suo buio, mi rese felice, mi sentii come se mi avesse permesso di entrare, anche se in piccola parte, nel suo mondo.

Non sapevo quanto tempo fosse trascorso, quando ero insieme a lei i secondi sembravano eterni mentre le ore solo piccoli attimi. La mano mi faceva male ma continuavo a colorare nonostante il foglio rimasse del suo stesso e tetro colore. Questo dettaglio non m'importava, per Erin sarei rimasto incollato su quel prato anche tutta la vita.

Poi, improvvisamente, Erin sollevò lo sguardo puntandolo oltre le mie spalle, il viso pallido, gli occhi spalancati. Non potei fare a meno di voltarmi per vedere cosa la stesse impaurendo tanto.

Immobile sotto il portico c'era Jason, suo fratello. Sorrisi salutandolo con la mano ma lui non mi degnò di uno sguardo, anzi. Scrollai le spalle anche se quel comportamento freddo mi sorprese.

<< Erin, vieni dentro! >> fece un attimo di pausa guardandosi intorno. << Adesso! >> sottolineò.

Erin scattò in piedi all'istante ma, prima che potesse muoversi, un uomo uscì di casa. Era molto alto e robusto, i capelli neri pettinati all'indietro e uno sguardo terrificante. Non lo avevo mai visto, però ipotizzai che fosse il padre. Sorrisi felice al pensiero di conoscerlo, ma le mie labbra si tesero in una linea sottile all'istante. L'uomo si fermò vicino a Jason e gli diede uno schiaffo in faccia così forte che, persino io, sentii dolore.

Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, cosa potesse aver fatto per farlo arrabbiare tanto. Jason era molto gentile, anche con me, mi trattava come un fratello. Quando lui e Erin andavano a fare una passeggiata non mostrava alcun fastidio se mi univo senza chiedere, anzi. Quindi, mi risultava strano che potesse aver fatto qualcosa di male, tanto da far infuriare suo padre.

Osservai un Jason intimidito che rientrava in casa con la testa bassa e la coda tra le gambe. Io, al suo posto, probabilmente avrei reagito. No, non c'era alcun "al suo posto". I miei non avevano mai alzato le mani con me, mi sgridavano quando sbagliavo mettendomi in punizione, ma non facevo mai niente che potesse fargli alzare le mani.

Quando Jason sparì nella casa, l'uomo inchiodò i suoi occhi su di noi. Rabbrividii all'istante, era inquietante e mi spaventava a morte. Non sapevo dire quale fosse la causa, ma avevo paura di lui.

<< Erin! >> urlò con la voce impastata. Aveva l'aria stanca, la barba incolta. Camminò verso di noi con passo veloce ma incerto. Più si avvicinava, più sentivo la vocina nella mia testa che urlava di scappare.

Eppure, non mi mossi da lì. Sarei rimasto sempre vicino a Erin, nel bene e nel male. Iniziai a chiedermi perché si stesse comportando in quel modo, perché volesse mettere tanta paura.

<< Che hai da guardare moccioso?! >>

Istintivamente mi misi di fronte a Erin, non avevo idea che il mio gesto lo avrebbe fatto infuriare ancora di più. Mi tirò su, afferrandomi per la maglietta e mi scaraventò a terra. La paura che potesse succedere qualcosa a Erin, che potesse farle del male, portò il mio dolore in secondo piano. Mi rialzai di scatto e mi avvicinai cominciando a riempirlo di calci sugli stinchi.

L'uomo prese a ridere, una risata che mi gelò il sangue. Gli bastò darmi un manrovescio per buttarmi a terra. La guancia pulsava violentemente, la testa mi faceva male, mi veniva da vomitare. Cercai di ricacciare indietro le lacrime e puntai gli occhi su di lui con lo sguardo più minaccioso che conoscessi. L'uomo si lasciò andare in un'altra grossa risata prima di gelarmi sul posto con un solo sguardo.

<< Sparisci moccioso! >> mi urlò contro, si voltò arrivando di fronte a Erin.

I miei muscoli si irrigidirono, aprii bocca per dire qualcosa o anche solo mettermi ad urlare, ma dalle mie labbra non uscì alcuna parola, solo un gemito sordo e insignificante. L'uomo prese in braccio Erin e la posizionò sulla sua spalla. Mi lanciò un'ultima e terrificante occhiata prima di prendere a camminare verso la casa.

Mi rialzai di scatto pronto a fiondarmi su di lui, non gli avrei permesso di farle del male, a costo di tornare a casa con le costole rotte. Feci per corrergli dietro ma Erin alzò lo sguardo.

I suoi occhi color ghiaccio erano spenti, così vuoti che mi perforarono l'anima come se fossero una spada. Scosse la testa abbozzando l'ombra di un sorriso. Le mie gambe presero a tremare fino a cedere.

Senza rendermene conto mi ritrovai in ginocchio sul prato, gli occhi fissi nel vuoto. Deglutii a fatica mentre iniziai ad odiarmi per non essere stato in grado di fare qualcosa, di proteggerla.

Tornai a casa a forza, costringendo i miei piedi a muoversi. Quando mia madre mi chiese cosa fosse successo, le mentii dicendole che ero caduto dall'altalena e che non era niente. Evitai di dirle di Erin perché avevo paura che quell'uomo, quel mostro potesse vendicarsi su di lei e farle del male. Quella stessa sera, promisi a me stesso che sarei diventato grande e forte per essere in grado di proteggerla a qualsiasi costo.

La ragazza con il cuore di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora