Capitolo 1

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12 anni prima

Erin

Era buio, la luna gettava un velo di luce attraverso dei piccoli spiragli della serranda gettando la stanza in un'angosciante penombra. Ero distesa a terra, sentivo freddo. Di fronte a me uno specchio, il profilo di un viso impaurito, scavato e tumefatto, un paio di occhi color ghiaccio che sembravano scuri e privi di vita.

Deglutii, la gola bruciò come se avessi ingoiato dell'acido.

Non avevo più alcuna percezione del mio corpo, non sentivo niente.

Eravamo solo io e quell'irritante riflesso di bambina di sette anni. Un'immagine che detestavo e che non riuscivo a contrastare, né ad abbattere.

Nessuno avrebbe potuto farlo.

Era ciò che odiavo.

Odiavo quell'immagine, la sua causa e tutti gli effetti che ne seguivano.

Imparai fin troppo presto il significato della parola odio anziché quello di amore, cosa che non dovrebbe mai succedere, ma per me fu così.

Mentre pensavo a cosa ci fosse di tanto sbagliato in me o nella mia breve esistenza, lo scricchiolio delle assi del parquet riecheggiò nella stanza, passi lenti e pesanti si avvicinavano sempre di più. Quando sentii la porta chiudersi e la serratura scattare, le lacrime cominciarono a rigarmi le guance, bruciavano come se fossero fuoco liquido.

Vidi negli occhi di quel riflesso la mia stessa paura, un terrore puro in netto contrasto col ghigno inquietante che aveva stampato in faccia. Serrai gli occhi, sarei voluta morire, spegnermi all'istante.

No, ti prego, cercai di dire ma dalle mie labbra non uscì alcun suono, la voce inchiodata in fondo allo stomaco. Lui era lì, la sua figura incombeva su di me sempre più minacciosa.

Speravo fossero arrivati a salvarmi, ma non potevo illudermi.

Strinsi i pugni cercando di pensare ad altro, di non pensare al dolore ma solo alle cose belle. Ma, quali erano le cose belle?

Mi venne in mente il bianco, la neve. Per quanto odiassi il freddo e quel colore banale e scialbo, era ciò che mi dava conforto. Bianco, un colore così autentico, così diverso dal mio, un colore che contrastava con l'oscurità che regnava dentro di me. Il nero mi inghiottiva sempre di più, mi era penetrato sotto la pelle, mi era entrato nelle vene. Il nero era morte e mi avrebbe uccisa.

Rabbrividii mentre una mano mi spinse violentemente la testa contro il pavimento, la guancia era diventata un tutt'uno con il parquet ghiacciato. Intanto, un'altra mano s'infilò sotto la maglietta provocandomi una scarica di brividi di disgusto.

Era ruvida, pesante, fredda.

Non volevo essere lì, volevo urlargli di andarsene ma l'unica cosa che riuscii a fare era fingermi morta.

Fingere di non esistere.

Rendeva tutto più semplice, meno reale.

Così mi concentrai sull'unica cosa che mi dava sollievo: il bianco. 

La ragazza con il cuore di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora