Capitolo 29

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Cam

Dopo aver portato le borse nelle camere tornai in sala da pranzo, il tavolo era ben apparecchiato come se dovessimo festeggiare una qualche ricorrenza importante. Guardai i miei genitori parlottare piacevolmente con Erin che aveva le guance più colorate del solito per l'imbarazzo. A dispetto di tutto, sapevo di non dovermi preoccupare, sebbene Erin non avesse mai espresso opinioni su di loro, ero certo che li adorasse. Lo vedevo da come parlavano, dalle sue labbra tese in un timido sorriso e dal suo non cercare un pretesto per scappare dalla situazione.

Poi, improvvisamente, i ricordi di un passato fin troppo lontano mi invasero i pensieri, tornai con la mente a quando avevo una decina d'anni, mia madre era sempre alle prese con i fornelli, si muoveva velocemente in cucina canticchiando delle melodie che trovavo fantastiche mentre me ne stavo seduto alla penisola intento a fare i compiti. Ogni tanto mi si avvicinava in punta di piedi per dare un'occhiata a ciò che stavo facendo e, con la stessa delicatezza, tornava alle sue faccende culinarie. Spesso mio padre ci raggiungeva e si metteva a raccontare storie assurde che mi toglievano il respiro lasciandomi sospeso tra finzione e realtà. Poi, qualche anno dopo, iniziò l'incubo, il vento del cambiamento si abbatté su di noi come una tempesta.

Vidi il mio mondo crollarmi davanti agli occhi, ogni mia certezza si frantumò mentre lei diventava sempre più fragile e indifesa.

<< Cam. >> la voce di mia madre mi strappò ai miei incubi.

I suoi occhi erano fissi su di me accompagnati da un sorriso raggiante, mi feci coraggio e raggiunsi il tavolo sedendomi di fronte a Erin, le lanciai un'occhiata ma lei abbassò lo sguardo.

Trascorremmo il pranzo a rispondere alle domande curiose di mia madre sul college, sul lavoro e tanti altri argomenti che rimossi all'istante. Mi resi conto che ogni mia risposta si era ridotta a mediocri monosillabi, non che fossi pentito di trovarmi lì, anzi. Mi mancavano i miei genitori, ogni giorno sempre di più, eppure era difficile, era complicato e pesante evitare di non pensare a quando eravamo felici, a quando tutto era più semplice, a quando non dovevo rammentare a mia madre chi fossi.

Sentii l'ansia stringermi lo stomaco mentre giocherellavo distrattamente con la forchetta nel piatto. Non riuscii a mangiare, la nausea stava avendo la meglio, avevo assolutamente bisogno di allontanarmi per qualche minuto e fumare.

Quel paio d'ore trascorsero lentamente facendomi diventare ancora più silenzioso, sentii per tutto il tempo gli occhi di Erin puntati su di me senza il bisogno di accertarmi che fosse lei, quando mi guardava con quel suo sguardo da cerbiatta e quegli occhi azzurri come il ghiaccio, mi faceva esplodere un incendio al centro del petto. Se fossimo stati da soli, avrei saltato il tavolo solo per abbracciarla perché niente al mondo riusciva a farmi stare bene come averla tra le braccia, avrei nascosto il viso nel suo collo lasciandomi invadere dal profumo della sua pelle mentre le sue dita mi avrebbero lasciato una scia di brividi dietro la nuca. Eppure, qualcosa dentro mi impediva di essere me stesso, il desiderio di baciarla veniva sostituito dalla paura di farla scontrare di nuovo con i suoi fantasmi del passato.

Quando finimmo di pranzare, o meglio, quando finirono, aiutai mio padre a sparecchiare mentre lasciammo Erin con mia madre. Osservai l'uomo che si muoveva esperto in cucina, come se quello fosse sempre stato il suo mondo ma, io sapevo qual era la realtà. Era stato "costretto" dalle circostanze a immergersi in un mondo che non gli apparteneva fino in fondo, si era ritrovato da solo a badare al figlio e alla moglie, si era rimboccato le maniche di fronte ai problemi a dispetto di quelli che avrebbero preferito fuggire.

Quelli come me.

Non ero un figlio modello, non dopo essere scappato di fronte alle difficoltà e, soprattutto, davanti al cambiamento.

La ragazza con il cuore di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora