Capitolo 47

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Erin

Mi svegliai di soprassalto, i capelli appiccicati al viso, le lenzuola gremite di sudore. Avevo fatto un incubo nonostante non ricordassi niente di niente. Eppure, sentivo ancora il malessere che mi aveva lasciato dentro. Guardai l'orologio, erano solo le 3:42. Mi alzai a forza e andai in bagno per sciacquarmi il viso, poi alzai lo sguardo e incrociai quel riflesso.

Quegli occhi erano spenti e contornati da profonde occhiaie, l'espressione svanita ma il sorriso sempre presente. Cercai di non farmi prendere dal panico, di ritrovarmi a vagare nell'oscurità alla disperata ricerca di un brandello di luce per uscire da quel tunnel, così decisi di tornare a dormire.

Mi rigirai nel letto infinite volte senza riuscire a prendere sonno, perciò mi alzai di nuovo e frugai nel cassetto del comò fino a trovare il flacone delle pillole. Sembravano trascorsi secoli dall'ultima volta che avevo sentito il bisogno di ricorrere a quel rimedio. Ne presi due e nascosi nuovamente il flacone, poi me le portai alle labbra e le buttai giù senz'acqua. Mi avvicinai al letto e mi sdraiai coprendomi con le coperte fino al mento, rimasi tutto il tempo a fissare il soffitto senza riuscire a dormire, poi mi feci forza e andai in bagno per una doccia.

Cinque giorni.

Erano trascorsi cinque maledetti giorni che sembravano un'eternità, un'infinità di tempo. Un infinito che, nonostante la sicurezza con cui avevo fatto la mia scelta, pesava come un macigno al centro del petto.

Ero consapevole del fatto che fossi stata io a lasciarlo, gli avevo vomitato addosso ogni cattiveria possibile con la sicurezza di far centro, lo avevo ferito e ne avrei per sempre portato il peso. Cam era quello che aveva scommesso tutto su di noi e, in fondo, l'avevo fatto anche io. Ma la mia oscurità aveva vinto di nuovo, il passato aveva preso il sopravvento. Dovetti ammettere che mi sentivo persa senza di lui, persa senza la sua sicurezza, senza il modo in cui mi guardava facendomi sentire l'unica donna al mondo, senza il tocco gentile delle sue dita sul mio corpo.

Non volevo sentirmi così, dovevo essere forte.

Mi ero illusa che potessi essere felice, che potessi sperare in un futuro migliore o, anche semplicemente, in un domani. Però, non potevo fare altrimenti, non c'erano altre scelte da poter fare se non quella. Senza volerlo, mi ero ritrovata a camminare a piedi nudi sul filo di una lama appena affilata.

I giorni passarono velocemente, il dolore era assente. In alcuni momenti avevo dato i numeri, avevo sfiorato letteralmente la pazzia. Non ero scoppiata a piangere in un angolo come una ragazzina, non avevo permesso alle lacrime di sopraffarmi, ma mi sentivo persa come se stessi osservando la vita di qualcun altro piuttosto che "vivere" la mia.

Non so dove trovai la forza che mi spinse ad uscire dal mio stato di trance prima di sentire la vera botta, iniziai a rendermi veramente conto della realtà. Dovevo lasciarmi andare, non pensare più alle paure e stare tranquilla, dovevo lasciar andare tutto ciò che c'era di sbagliato nella mia vita, ma come avrei fatto? Cam era l'unica ragione della mia felicità ed ero stata costretta a lasciarlo. La sensazione più brutta era sapere che fossi la causa della sofferenza di chi amavo. Quando cerchi disperatamente di amare mentre il passato continua a tormentarti, vieni sfinita, svuotata completamente, ti ritrovi senza forze per andare avanti.

Ero rimasta sola senza sapere come poter ricominciare.

Dovevo riuscire a darmi una ragione per rialzarmi, tornare a contare solo su me stessa. Avevo allontanato da me i suoi sorrisi e, adesso, ero piena di dolore, piena di ferite sotto la pelle che non avrei più sopportato, mi faceva male tutto, anche solo respirare. Mi mancava da morire ma non potevo dirglielo, come potevo spiegargli che lo amavo alla follia ma che non potevamo stare insieme perché il mio passato lo avrebbe distrutto?

La ragazza con il cuore di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora