Capitolo 50

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Cam

La stanza puzzava di pulito e disinfettante, quell'odore stomachevole iniziava a darmi davvero fastidio. Il ticchettio dell'orologio scandiva lentamente il tempo, ogni minuto era la copia sputata di quello precedente.

Erano passiti due lenti ed estenuanti giorni e Erin continuava a dormire stesa su quel lettino d'ospedale, un ago svaniva sotto la sua pelle vicino al polso, diverse medicazioni sparse lungo il suo esile corpo. Non mi ero mai allontanato, ero rimasto accanto a lei per tutto il tempo, non ero riuscito nemmeno a prendermi la libertà di chiudere gli occhi e riposare per paura di ritrovarmi a vivere di nuovo un incubo.

Le sue condizioni stavano migliorando, i lividi erano diventate delle pallide macchie gialle che iniziavano a svanire lentamente, le ferite si erano rimarginate e, ben presto, sarebbero diventate dei lontani ricordi.

Continuavo a tenerle la mano accarezzandole dolcemente il dorso col pollice. Jason mi aveva detto, quasi ordinato, di tornare a casa e dormire un po', ma avevo sempre rifiutato perché volevo esserci quando avrebbe riaperto gli occhi.

Trasalii quando sentii la porta cigolare, mi voltai di scatto e vidi Sky che mi rivolse un timido sorriso mentre si avvicinava incerta.

<< Come va? >> posò una mano sulla mia spalla, lo sguardo rivolto a Erin.

<< Meglio rispetto a due giorni fa. >>

Annuì pensierosa e io mi lasciai andare ad un profondo respiro, quindi scossi la testa mordendomi il labbro per impedirmi di piangere.

<< È tutta colpa mia. >> ammisi stringendo la mano di Erin.

<< Sai che non è vero. >>

<< Avrei dovuto capirlo che qualcosa non andava, che c'era qualcosa che la stava spaventando. E se non fossi arrivato in tempo? >>

<< Cam. >> si chinò fino guardarmi negli occhi. << Basta, non puoi continuare a tormentarti in eterno. Se o ma o perché adesso non hanno alcuna importanza, Erin sta bene ed è viva grazie a te. >> sorrise accarezzandomi la spalla.

<< Cam. >>

Entrambi alzammo lo sguardo, Erin aveva gli occhi stanchi puntati su di noi, le labbra tese in una linea sottile.

<< Ehi. >> mormorai portandomi la sua mano alle labbra e, in quello stesso istante, una lacrima mi rigò la guancia ma la asciugai subito col dorso della mano.

<< Vi lascio soli. >> disse Sky dandomi una pacca sulla spalla e facendo un occhiolino a Erin che tese lievemente le labbra in un sorriso.

<< Dove mi trovo? >> mi chiese debolmente.

<< In ospedale, sei qui da un paio di giorni. >>

<< Non voglio restare qui. >> disse strappandomi un sorriso. << Voglio tornare a casa. >>

<< Dobbiamo aspettare i risultati delle. >>

Scosse la testa senza lasciarmi il tempo di finire, quindi provò a tirarsi su a sedere storcendo la bocca in una smorfia di dolore, ma questo non la fermò, anzi. Qualunque fosse stata la situazione, lei era più cocciuta di un mulo.

Mi alzai e la spinsi dolcemente dalle spalle impedendole di alzarsi o anche solo muoversi più di quanto avesse già fatto. Conoscendola, sarebbe scappata dall'ospedale per nascondersi in chissà quale luogo con tutti i tubi attaccati. Odiava gli ospedali, i camici bianchi, la puzza di disinfettante e tutto il seguito e, io, non riuscivo a darle torto, su questo almeno eravamo d'accordo. Ma la cosa giusta era restare, quindi non le avrei mai permesso di muoversi di un solo centimetro da quel letto.

La ragazza con il cuore di lattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora