''To lie here under you is all that I could ever do.
To lie here under you is all.
Rain, rain, go away
Come again another day''
Dieci anni più tardi camminavo verso casa calciando distrattamente i sassolini che di tanto in tanto mi intralciavano la strada; il mio sogno era ogni giorno più vicino al realizzarsi: frequentavo la Isamu High School Academy e mi impegnavo al massimo per diventare una Hero e assomigliare alla persona che quel giorno mi aveva salvato da papà e dai suoi colleghi, dagli esperimenti e dagli orrendi ricordi che ancora attanagliavano i miei incubi ogni notte.
Da quel momento, il mio Eroe era diventato il mio idolo e il modello da seguire: mi aveva fatto rinascere e dovevo a lui la possibilità di chiamare "vita" quella che stavo vivendo –sebbene con non poche difficoltà, per una ragazzina quindicenne quale ero-.
Lo scopo della mia vita era diventato quello di aiutare e salvare le persone, quelle un po' rotte, come me.Varcai la soglia di casa appena in tempo per scampare all'ennesimo tifone della stagione che si abbatteva violento nella mia zona. Quei temporali non mi dispiacevano poi così tanto, specialmente durante le vacanze estive, in cui ero libera di restare tutto il giorno in casa. Trovavo estremamente piacevole leggere i miei libri con il sottofondo rilassante e ritmico dello scroscio che batteva pesante sul soffitto della mia camera. Adoravo ancora di più quando, terminato l'acquazzone, il profumo della pioggia si mischiava a quello della terra bagnata e penetrava dalle fessure delle finestre che lasciavo appositamente socchiuse, e accompagnava la sottile brezza che rinfrescava la mia pelle e l'aria umida e afosa dell'estate.
Ma oramai le vacanze estive si erano concluse da un po' e la scuola era ricominciata, perciò adesso risultava dannatamente fastidioso tornare a casa completamente fradicia ogni volta che la mia testa sbadata e negligente dimenticava l'ombrello.Il flusso dei miei pensieri fu bruscamente interrotto dal silenzio abituale in cui era immersa la casa: mi colpì in faccia come uno schiaffo, riportandomi alla realtà.
La luce grigia del cielo nuvoloso illuminava fiocamente le stanze attraverso le grandi finestre, conferendo all'ambiente un'atmosfera cupa e triste. Rispecchia il mio animo, pensai, prima di scuotermi via quei pensieri dalla testa e precipitarmi in camera a levarmi di dosso la divisa scolastica bagnata dalle prime gocce di pioggia a cui non ero riuscita a sfuggire e che mi stavano appiccicando parti di tessuto alla pelle.
Superando l'ingresso intravidi mia madre nella stanza accanto, accucciata placida sul divano con lo sguardo perso oltre il vetro della finestra.-«Hey, sono tornata»
*
Studiai per due ore abbondanti, sebbene non potei impedirmi di distrarmi di tanto in tanto a osservare le gocce di pioggia che si rincorrevano –come se fossero nel bel mezzo di una gara- sul vetro della finestra, dalla quale ormai filtrava ben poca luce perché illuminasse adeguatamente i fogli dei miei quaderni un po' sparsi che ricoprivano caoticamente il tavolino basso.
Chiusi con un tonfo il libro che stavo sottolineando, la copertina recitava ''Fondamenti di eroismo''. Sospirai stancamente mentre mi strofinavo gli occhi che cominciavano ad essere assonnati, ma del resto mi ritenevo abbastanza soddisfatta del mio lavoro: negli ultimi mesi, grazie ai miei considerevoli risultati mi ero affermata prima alunna della classe, e questo per me significava aver raggiunto un grande traguardo. Mi piaceva studiare, ma al di là di questo, ero particolarmente motivata dalle mie ambizioni future. Tuttavia, sebbene apprezzassi la mia scuola, i miei insegnanti ed i quieti compagni di classe che non disturbavano il mio volontario isolamento quotidiano, molte volte mi ritrovavo a domandarmi quanto avrei potuto dare e valere in una scuola migliore di quella che avevo la possibilità di frequentare. La U.A. ad esempio.
Era la scuola più ambita dagli aspiranti Heroes, l'organizzazione era esemplare e perché non mancasse nulla, erano alcuni dei pro Hero più conosciuti ad insegnare. Ed era anche risaputo che da lì uscissero i migliori professionisti, senza contare gli sbocchi lavorativi che riservava un semplice diploma ottenuto allo U.A.!
Fin da piccola mi ero impegnata duramente decisa a passare il test di ammissione e diventare una studentessa del liceo, ma i miei sogni erano presto stati spazzati via dalla realtà: vivevo troppo distante e, in ogni caso, non potevo permettermela. Dovevo badare a mamma, oltre che a me stessa. Ed ero anche abituata a farmi forza ogni volta che ero costretta a sacrificare i miei desideri, pensai. Ma andava bene così.
Qualcuno aveva detto che bisogna apprezzare ciò che si ha, perché potrebbe andare peggio.Mi accorsi di essere rimasta immersa nei miei pensieri per molti minuti, osservando il paesaggio fuori: aveva smesso di piovere, ma a intervalli irregolari qualche goccia faceva ancora capolino contro il vetro della finestra.
A giudicare dal crepuscolo doveva essersi fatta ora di cena, così mi alzai e mi diressi verso le scale nella mia larga mise da casa, e scesi giù in cucina.Raccolsi i lunghi capelli rosa pastello in uno chignon disordinato, mi lavai le mani e cominciai a preparare la cena, ascoltando distrattamente il notiziario alla TV davanti a me. La mia attenzione fu improvvisamente catturata dalle parole pronunciate da un giornalista in tono mestamente sincero: parlava di un gruppo di Villains, probabilmente facenti parte della famosa Unione che in quei giorni si stava facendo conoscere sempre di più; fortunatamente alcuni di loro, erano stati catturati dalla polizia, e, mentre con il coltello continuavo inconsapevole a torturare i funghi sul tagliere, mi chiesi come mai mi sembrasse di aver già visto e riconosciuto uno degli uomini sullo schermo, che veniva trascinato nell'auto con le sirene lampeggianti.
Mi affacciai sulla porta del salotto per informare mia madre che la cena era pronta: lei era ancora lì, come l'avevo intravista tre ore prima, con le ginocchia rannicchiate contro il petto mentre fissava qualcosa fuori dalla finestra attraverso il suo solito sguardo vitreo, mormorando occasionalmente qualcosa tra sé e sé.
–«Mamma...» Mi avvicinai. «Mamma, ho preparato la cena.» Riprovai, senza ottenere alcuna risposta.
Era come se non esistessi ed era terribilmente frustrante, sebbene fossi ormai abituata all'insopportabile indifferenza di mia madre.
Per un momento pensai a come sarebbe stato avere una madre normale, come le altre, tutta ricette e aspirapolvere e ''Metti in ordine la tua camera'', ma mi maledissi all'istante per quel pensiero egoista che per l'ennesima volta mi rimbombava nella testa. Mi sentii in colpa. Non era giusto anche solo pensarlo, dopo tutto quello che lei aveva passato. E in fondo quella sensazione era anche in parte dovuta alla consapevolezza che se lei era stata ridotta così, era stato per colpa mia.
Io le dovevo tanto, e se accudirla come se fosse stata lei la bambina, fosse servito in qualche modo a sdebitarmi, allora avrei fatto così.Mi avvicinai piano a lei per non metterle paura, come si fa con un gattino randagio. Poi allungai un braccio e la scossi gentilmente. Sussultò a quel contatto e posò i suoi occhi sbarrati su di me.
–«Vieni a mangiare» mormorai cautamente.
Il suo sguardo si addolcì, quasi colpevole. La aiutai ad alzarsi e la guidai verso il tavolo in cucina, dove avevo preparato due ciotole di ramen preconfezionato e che avevo inutilmente cercato di insaporire aggiungendo delle verdure fresche. Mamma si sedette barcollando e dopo un po' afferrò il cucchiaio cominciando a mangiare. La osservai con i polsi che le tremavano, imboccandola quando si perdeva in se stessa.
Qualcuno bussò mentre raschiavo il fondo della ciotola col cucchiaio, raccogliendo ciò che era rimasto della mia cena. Mi precipitai ad aprire la porta chiedendomi chi potesse essere a quell'ora, non prima di aver rivolto un'ultima occhiata ansiosa a mia madre, che con la mano tremante bagnava il tavolo e il suo maglioncino bianco ad ogni tentativo di portarsi il cucchiaio alle labbra.
Avrei ripulito più tardi, pensai.Ma quella fu l'ultima volta in cui la vidi prima di essere portata via.
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Why won't you show yourself? [ITA]
Fanfic[Katsuki Bakugo x OC] [+Other ship] - Lemon/smut & Fluff. Enemies to lovers/friends to lovers. OOC (passive-aggressive Bakugo). Può contenere tracce di slow burn. Questa storia racconta ogni cicatrice. Dal capitolo 6: «La prima volta che vidi Aki...