XIX - Un principe senza corona (III)

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Odiava quel ragazzino, non lo poteva vedere! Non sapeva quale fosse la ragione precisa, ma meno lo vedeva e meglio stava. C'era già il padre con le sue paternali che era obbligato a sorbirsi ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, come se fosse una nullità, incapace di fare qualsiasi cosa. Il vecchio Zhao non riusciva ad accettare le caratteristiche che li differenziavano. Zhao era sempre stato incapace di cavarsela da solo, finché un giorno, semplicemente, si era arrabbiato ed era cambiato. Aveva imparato a cavarsela da solo, ma ancora non era abbastanza: l'ombra del padre continuava a perseguitarlo, tutti continuavano a metterli continuamente a confronto, mentre quel ragazzino spuntato da chissà dove sembrava avere tutto ciò che a Zhao Yunlan mancava e quindi, era perfetto per il grande Zhao Xin Ci. Era frustrante! Zhao non voleva ammetterlo, ma forse era vero, forse era invidioso, invidioso di non poter essere qualcosa di diverso da una delusione agli occhi del padre. Neanche sapeva, perché se la prendesse tanto a cuore, dal momento che dichiarava di non considerarlo nemmeno... Parlando del diavolo, eccolo che si avvicinava in tutta la sua irritante autorità. Sembrava molto stanco.

- Smettetela voi due! Comportatevi come si deve, state mettendo in ridicolo la squadra intera! Pensavo di avervi insegnato meglio. Han Chao, vai da Lin Jing e fatti dare i dossier di tutti quelli che abbiamo preso. -

  Il giovane strinse i denti e si voltò verso l'uomo, per fare un leggero inchino.

- Sì, capo. -

  Stringendo i pugni, lanciò un'ultima occhiataccia a Zhao, che lo seguì con lo sguardo mentre se ne andava, reprimendo il desiderio che aveva avuto di mettergli le mani addosso.

- Il signorino ha la luna storta, oggi. -

- Sta facendo quello che avresti dovuto fare tu da tre mesi a questa parte. -

  Giusto, non si ha mai che un ragazzo qualsiasi stesse passando le notti in bianco in archivio a fare ricerche, o in giro a fare domande per colpa sua, perché non aveva preso un caso che chiunque avrebbe potuto seguire. Non aveva neanche senso scaldarsi. Fece per andarsene, ma il padre lo prese per il braccio sinistro, facendogli sfuggire un gemito di dolore. L'uomo stava per elargire una delle sue perle, ma abbassando lo sguardo e notando la ferita insanguinata, sembrò ripensarci e cambiò tono, pur rimanendo impassibile.

- A cosa stavi pensando? -

- Al mio dovere. -

- La vendetta non fa parte del tuo lavoro. Chu, portalo in ospedale e poi vieni a fare rapporto. -

  Il collega più grande, rimasto in attesa a controllare a debita distanza, si avvicinò e fece un piccolo inchino rivolto all'uomo, che si congedò senza aggiungere un'altra parola.

- Lo sai che hanno ragione. -

- Non mi pare di averti chiesto di intrometterti! -

- La prossima volta lascerò che ti facciano fuori. Cammina. -

  Già il fatto di dover andare in ospedale era una seccatura, dal momento che nemmeno gli piacevano, ma il fatto che, da lì, Chu si sarebbe fregato la sua moto, perché lui non avrebbe potuto guidarla per qualche giorno, era ancora più frustrante. Quando lo lasciò in ospedale, Zhao lo minacciò per niente velatamente che, se gliel'avesse rovinata in qualsiasi modo, sarebbe morto tra atroci sofferenze. Come se a Chu avesse importato qualcosa... Che fosse per via della moto sequestrata, per il fatto di trovarsi in ospedale, o per l'attesa di essere chiamato dal medico per farsi i punti al braccio ferito, quei piedi che battevano a ritmo sostenuto sul pavimento non erano di certo segno di agio. Non avevano potuto portarsi dietro un medico, perché gli medicasse la ferita? Fortunatamente, la sutura durò pochi minuti, al che fu libero di tornarsene a casa, in compagnia degli antidolorifici già in circolo e quelli che avrebbe dovuto prendere per qualche giorno. Gli serviva un caffè. Adocchiando la macchinetta in fondo all'ingresso, vi si fiondò immediatamente, tanto avrebbe dovuto aspettare che la palla al piede si fosse svegliata, preparata e fosse venuta a prenderlo, per portarlo in ufficio. Chu avrebbe anche potuto aspettare con lui, che fretta c'era di andare a fare rapporto al grande capo?! Il giovane capo scosse la testa, seccato, mentre si apprestava a bere la bevanda calda, non prima di aver preso anche una barretta di cioccolata, giusto per riempire lo stomaco. Lo sguardo indugiò sulle corsie dell'ospedale, sulle persone che attendevano più o meno tranquille, sulle scale che portavano al piano superiore, dedicato alle patologie più importanti... Qualcosa si mosse dentro di lui, un tremore si impossessò delle sue mani e gli impedì di trattenere oltre il bicchiere, lasciandolo là. Un nodo cominciò a stringergli la gola, mentre negli occhi tornava alla mente quel ricordo indelebile... Un bambino non poteva capire il significato della parola "depressione", anche perché, quegli occhi che lo avevano sempre guardato con amore erano sempre stati lucenti in sua presenza, mentre quella voce calda e dolce gli raccontava le storie più incredibili. Ma quel giorno era rimasto da solo in un corridoio stretto, seduto sulla sedia, con le punte dei piedi che toccavano a malapena il pavimento. Quando arrivò il padre, non gli rivolse nemmeno la parola. Non sapeva cosa fosse successo, sapeva solo che uscì da quell'edificio bianco e puzzolente, senza sua madre... Il cuore batteva velocemente, fu difficile riprendere il controllo, ma con le continue ondate d'acqua gelida sul volto e respirando profondamente un paio di volte, il giovane detective cominciò a sentirsi via via un po' meglio. Una volta asciugato il viso, si appoggiò con la schiena contro il freddo muro del bagno e attese qualche altro minuto, ad occhi chiusi.

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