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ADAM

Prendo il mio zaino nero e sono pronto per tornare nuovamente a Miami. Non ho mai avuto il coraggio di fare quel che sto per fare ma ormai sono stanco di fare il codardo.
Scendo in salotto dove trovo Gwen ed Elia pronti e vestiti totalmente di nero, come me. Non avrei potuto fare altrettanto vista la situazione che siamo costretti a vivere quest'oggi e per sempre. Al momento sono solo sveglie Lara ed Alyce o meglio, sono Lara dato che Alyce dorme ancora. Lara è impassibile e cerco in tutti i modi di non incrociare il suo sguardo. So che adesso mi odierà per il mio menefreghismo ma non voglio che provi il mio dolore essendo lei una persona molto empatica, specialmente con il sottoscritto.

Andiamo via senza nemmeno salutare; solo Gwen saluta Lara ed Alyce dando un bacio sulla guancia ad entrambe. Chiudo la porta alle mie spalle e ci dirigiamo verso l'aeroporto nell'assoluto silenzio; ormai non serve nemmeno parlare come un tempo. Le cose non cambierebbero per cui è inutile anche parlarne. Quando ero piccolo, tutti mi mandavano messaggi, dicevano parole dolci, i miei parenti mi chiamavano specialmente mio padre anche se ho sempre rifiutato o ignorato le sue chiamate o i suoi messaggi per la merda che ha buttato addosso a tutti quando ci ha abbandonati dodici anni fa. 
Le uniche persone che ho sempre voluto vicino erano e sono ancora adesso Elia e Gwen e spero che non se ne vadano mai. Ci sono sempre stati fin da quando ero piccolo per questo per me significano tantissimo e sono tutto quello che ho anche se adesso si è aggiunta Lara.

Arriviamo e dopo aver atteso il nostro volo, prendiamo l'aereo e solo dopo sei ore di estenuante viaggio; poggiamo i nostri piedi sul suolo, ritrovandoci nuovamente a Miami. 
Non andiamo da nessuna parte se non direttamente lì, dove la sua memoria è custodita e dove la sarà per sempre.
Varchiamo i cancelli di quel luogo dove mai ho messo piede e subito tutto ciò che provo viene risucchiato, come se il mio corpo non avesse più un'anima. Camminiamo fino a quel pezzo di pietra riservatole e man mano che i nostri passi ci guidano fin lì, l'ansia ed il macigno che ho sul cuore premono sempre di più dentro di me.

Gwen piange, i suoi singhiozzi sono udibili anche da me che sono più lontano da lei mentre Elia cerca di trattenersi. Non vuole piangere perché lei gli ha sempre detto di essere forte. Lo ha preso come stile di vita, come parola che riempie la sua esistenza tanto da tatuarselo sulla clavicola destra, aggiungendo anche una data sulla clavicola sinistra.
Siamo dinanzi alla sua foto, alla frase che abbiamo fatto incidere su una lapide in suo onore. Pensare che qui adesso ci sia sepolta una persona che per me ha significato tantissimo e significa ancora adesso tutta la mia vita, mi fa rabbrividire e non poco. Trattengo le lacrime che minacciano, che chiedono di uscire e mi piego per guardare meglio la sua foto; il suo sorriso smagliante, i suoi denti bianchi, i suoi occhi scuri ed i suoi capelli ricci mi danno la forza di toccare la foto, di sfiorarla con le dita e subito avverto come una scossa che si propaga in tutto il corpo tremante.

Gwen singhiozza rumorosamente e credo che sia arrivato il momento di dirle qualche parola. Inizia che continua a piangere mentre accarezza la foto sorridente della donna ritratta; io ed Elia ci allontaniamo e lei inizia a parlarle, come se lei fosse ancora lì presente. Appena Gwen viene verso di noi, è il turno di Elia che cammina piano e con la testa bassa.
Abbraccio Gwen che scoppia nuovamente a piangere tra le mie braccia; è davvero orribile vederla ridotta così e lo stesso vale per il mio amico Elia che sta tornando. 
Il cuore inizia a battere forte e l'ansia si impadronisce del mio corpo. Cammino verso la sua lapide e rimango in piedi, guardando il sorriso di quella donna spento per sempre.

<<Non so nemmeno da dove iniziare...>> ammetto guardando le mie scarpe consumate, <<Vorrei averti ancora qui, con me. Sarei venuto a casa tutti i fine settimana da quella scuola di merda; te lo avevo promesso. Sai che ci sono andato solo perché volevi che mi laureassi e adesso eccoti qui; sepolta da ormai dieci anni.>> ammetto ed una lacrima scende giù lungo la mia guancia. <<Non posso vederti solo da una stupida foto; io voglio averti qui con me. Non è giusto... La vita non è giusta ed è tutta colpa di quel bastardo se adesso sei qui... Come è potuto succedere, mamma...>> dico con la voce strozzata dal pianto e mi accovaccio poggiandomi sulle punte dei miei piedi; <<Eri felice, cazzo quanto eri felice e guarda adesso come sei ridotta, come sono ridotto. Sono perso senza di te, senza i tuoi sorrisi, senza i tuoi rimproveri, le tue battutine che facevi solo per farmi rigare dritto... Sono solo un codardo che non ha nemmeno avuto le palle di venire al tuo stesso funerale, cazzo!>> esclamo pieno di rabbia che riverso tirando un pugno sull'asfalto presente sotto le mie suole consumate.

<<Non posso... Non ce la faccio, mamma. Non doveva andare così... Non voglio vederti qui; non posso proprio.>> continuo a dire come se, in qualche modo, le mie parole possano farla ritornare in vita. Come un tempo... Quando eravamo soli io e mia sorella, solo lei ed io. Mio padre se ne è andato quando avevo nove anni. Ci ha lasciati senza un soldo, sotto un tetto non sicuro ed in balia della fortuna e del destino che, alla fine, si è scaraventato su di noi come un uragano; portandosi via la persona più importante al mondo.
Elia e Gwen fin da subito sono sempre venuti a casa mia per cui mia madre la reputavano come una zia o addirittura, come diceva sempre Gwen, una "seconda madre" e quando lo diceva mi arrabbiavo sempre perché era solo mia madre e di nessun altro. Non volevo condividerla con nessuno.

Non riesco a spiegare come mi sono sentito quando ho saputo dell'accaduto. Ricordo che a dirmelo è stata mia nonna, la madre di mia madre, e che me lo disse a tavola; mentre stavamo mangiando. Avevo undici anni per cui si può solo immaginare la reazione che io abbia potuto avere. Non mi sembrava vero; non poteva essere vero. Non ci volevo credere ma ci ho creduto solo quando non l'ho più vista a casa; quando non ho più sentito la sua voce che ogni mattina mi stressava per farmi alzare da quel lettino caldo e andare a scuola. 
Lei era ed è tutt'ora una donna eccezionale, dai mille valori, tanti pregi e veramente pochissimi difetti. Diceva sempre che io sarei diventato un ragazzo bellissimo; gentile, educato e molto studioso ma appena ho saputo ed ho realizzato a pieno la sua assenza; sono cambiato, diventando tutto l'opposto della persona che lei ha sempre voluto come figlio.

La guardo un'ultima volta, le accarezzo la guancia con il dorso del mio indice e mi alzo senza mai staccare gli occhi dal suo ridente volto. Sorrido lievemente per poi sussurrare un: <<Ti voglio bene, mamma.>> e andare via non voltandomi nemmeno una volta verso quel pezzo di pietra dedicato all'unica donna che io abbia mai amato...


Me or Him?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora