Fallo per te stessa

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Aspettavo un mio amico quella sera.
Avremmo visto un film insieme.
Era venuto per tirarmi
su il morale.
Avevo evitato di uscire
per il resto delle ultime settimane.
Non avevo voglia di vederla,
anche se tutti i giorni
scrivevo dei testi
riferiti a lei.
Me la sentivo ancora dentro,
i segni sul collo
si erano tolti da pochi giorni,
così come i graffi sulla schiena.
Lei era un segno indelebile però.
Il mio amico avrebbe portato
la pizza e delle birre.
Non ci voleva niente di meglio
che una serata tra noi,
aveva detto mentre
lo avevo assecondato,
facendo un lieve e tirato
sorriso al telefono,
anche se non poteva vedermi.
Ero ridotto in un pessimo stato,
la barba stava cominciando
a ricrescere lentamente.
Non mi era mai piaciuta,
ma adesso avevo deciso di tenere
quei lievi accenni sul mio volto.
Il campanello suonò improvvisamente,
ma era troppo presto.
Mi alzai controvoglia dal divano
e me la ritrovai davanti.
Sgranai gli occhi incredulo,
mentre lei si fiondò a casa mia.
Era struccata, ad eccezione
del suo rossetto sbavato,
quasi sparito dalle labbra,
con i capelli spettinati
e la maglietta al contrario.
Neanche si era guardata
allo specchio prima di uscire,
era evidente.
Forse aveva fatto sesso
e aveva messo i vestiti a caso.
Aveva gli occhi rossi e gonfi,
forse di pianto.
Ma no,
come avevo fatto
a non accorgermene.
Sembrava ubriaca.
Dio santo...
Non avevo avuto nemmeno
il tempo di sgridarla,
che subito mi aveva sbattuto
contro la parete
e mi aveva alzato la maglietta
e tolta in un attimo.
Ma era impazzita?
Non riuscivo a muovermi,
iniziò a baciarmi il petto,
poi l'addome, e poi risalì alle labbra. 
Me le morse ancora per una volta,
mentre ansimai forte tra le sue.
Dio, non ce la facevo più con lei.
In un attimo volevo portarla
in camera da letto,
o farlo lì sul divano,
anche se un attimo prima
la stavo maledicendo.
Poi riacquistai un attimo di razionalità,
proprio mentre aveva portato
le mie mani sulla sua maglietta.
Voleva che gliela sollevassi,
voleva stare con me interamente.
Ma io non potevo,
e sentivo ero troppo confuso per capirla,
e mi era mancata troppo
per domandarmi perché fosse qui.
Lei era troppo ubriaca
per essersi resa conto
di quello che aveva appena fatto,
o almeno così speravo.
La feci sdraiare sul divano
ancora eccitato,
ma estremamente rabbuiato.
Si stava distruggendo,
e nessuno sembrava
essersene accorto.
Faceva quello che le pareva,
e beveva anche
alle otto di sera.
Ma il suo ragazzo dov'era?
E lei perché voleva portare
una tale evoluzione nella sua vita,
bevendo per dimenticare?
"Hai idea di quello che hai fatto?"
Ma lei a malapena mi rispondeva
e biascicava il mio nome.
Mi diceva che dovevo scoparla immediatamente,
che voleva essere scopata solo da me.
Scopata...Che brutta parola
sulla sua bocca.
Non usava mai dei termini
così volgari,
ma lei non sembrava
la ragazza che amavo.
Mi faceva quasi ribrezzo,
e tanta paura.
Dov'era finita quella ragazza
di cui mi ero innamorato?
Dov'era quella ragazza
che avevo ricordato come tale
quella notte di qualche settimana fa? 
"Neanche per sogno."
Gli avevo risposto
traendo un respiro profondo.
Lei si mise a ridere,
una risata inaudita che mi spaventò.
Non avevo sentito niente
di più amaro uscire dalle sue labbra.
"Mi stai dicendo
che sei già andato avanti?
Come cazzo fai spiegamelo.
Non mi ami più?"
Parlava con un tono subdolo
mentre cercava di rialzarsi
dal divano e mi inciampava addosso. Cademmo entrambi sulla poltrona,
mentre lei mi mise le mani sulle spalle, e poi sul petto che si alzava e si abbassava in maniera irregolare.
Mi mancava il respiro.
Mi morse le labbra
fino a quando non avvertii il sapore del sangue,
e io cercai di allontanarla
a per guardarla negli occhi
e capire la gravità della situazione.
"Se continui così chiamo
il tuo ragazzo e gli dico dove sei
e cosa stai facendo
o provando a fare con me." Gli dissi.
Si sedette sulle mie gambe
e mi rispose: "No ti prego.
Mi lascerà, me lo sento.
È la volta buona che lo fa.
Sto bevendo troppo."
Detto questo vomitò sul tappeto
davanti a noi due,
mentre io mi inquietai.
Non feci neanche in tempo
a scostargli i capelli.
Adesso aveva questi ultimi
e i vestiti pieni di vomito,
e anch'io ero sporco sulle gambe.
Mi stava venendo la nausea
anche a me,
ma capivo quanto stesse male.
Stava male per me?
Ma perché allora
si era allontanata di nuovo
quella mattina?
"Ti porto su.
Devi farti una doccia e riposarti."
"Non mi reggo in piedi.
Ho la nausea da tutta la settimana.
Mangio e vomito.
Bevo e do' di stomaco.
Non ne posso più."
Disse con voce fievole.
"Allora aspettiamo."
Gli risposi alzando le spalle.
Inviai un messaggio al mio amico,
rinviando per la prossima volta.
Gli promisi che appena
avrei potuto gli avrei spiegato
la situazione.
Lui visualizzò e non mi rispose.
Evidentemente ci era rimasto male,
ma dopo qualche minuto
mi arrivò un suo messaggio
dicendo che andava bene
e che immaginava fosse importante.
Lo era, pensai tra me e me
mentre notavo lo sguardo perso
e lo stato pietoso della ragazza
che mi aveva rubato il cuore
e che in quel momento
era a pezzi,
e le crollava il mondo addosso.
Eravamo in due,
ma almeno io non mi ubriacavo.
Non lo avrei fatto più,
non avrebbe risolto nulla.
Bere non serviva a dimenticare,
serviva soltanto a rovinarsi
e a rammaricarsi.
Ed era esattamente
quello che stava facendo lei.
Passò qualche ora,
in cui smisi di guardarla
e andai all'altra stanza,
soltanto per cercare
di smacchiare il tappeto, invano.
Era da buttare ormai.
Lei puzzava in maniera incredibile,
e anch'io avevo l'estrema necessità
di farmi una doccia,
ma non potevo lasciarla sola.
"Stai meglio?"
Le domandai dopo molte ore.
Adesso ci fissavamo,
quasi con circospezione.
Sembrava tornata in sé,
dopo aver dormito.
"Mi dispiace un sacco." Disse soltanto.
Il suo sguardo era carico d'imbarazzo.
Eccola, la ragazza
di cui mi ero innamorato.
Non quella sfacciata
che implorava di andare a letto con me poco prima.
A malapena la riconoscevo
quando beveva.
"Non preoccuparti."
Le feci un gesto con la mano
per comunicarle che non doveva pensarci.
"Vuoi andare a farti una doccia adesso?
Te la senti?" Gli chiesi gentilmente.
"Mi sento troppo debole,
ma puzzo tantissimo.
Perciò va bene.
Potresti aiutarmi a salire le scale?"
Mi disse con lo stessa vergogna
di prima, senza guardarmi.
"Certo, amore."
Le dissi prendendola tra le braccia,
nonostante quell'odore
mi facesse venire un capogiro.
Era spontaneo chiamarla amore,
e ogni volta che lo facevo
lei sorrideva tristemente.
E così, lei fece un sorriso di dolore
e si fece trasportare di sopra con calma.
Mentre salimmo le scale
le sussurrai varie volte:
"Che cosa stai facendo..."
La portai al bagno e l'aiutai
a togliersi i vestiti di dosso.
Li gettò ai panni sporchi
e sempre piena di nervosismo
e d'imbarazzo rimase nuda a fissarmi,
mentre aprivo il getto dell'acqua calda.
"Vieni dentro con me..."
Mi disse sussurrando
e con gli occhi lucidi.
"Non dai peso a quello che dici, e probabilmente non te ne rendi nemmeno conto..."
Affermai togliendomi la maglietta, gettandola confusamente sul lavandino,
e chiudendo la porta.
"Te lo sto dicendo onestamente.
È quello che voglio."
Mi disse avvicinandosi
con un passo incerto.
Cercai di guardarla il meno possibile,
ma mi accorsi che aveva
dei lividi sul corpo.
Compresi ciò che probabilmente
era successo e la tenni stretta tra le braccia, mentre lei si mise a piangere.
"Amore mio, ti prego sfogati con me.
Piangi se vuoi farlo, ma reagisci."
Lei pianse mentre entrammo nella doccia
e restai attento a non indugiare troppo
sui suoi lividi violacei
mentre strofinavo il sapone
sulla sua pelle morbida e pallida.
Violentava il suo corpo,
era raccapricciante, e non sapevo come tirarla fuori da quella situazione,
non sapevo come poteva uscirne senza soffrire più.
Volevo ammazzarlo,
volevo proteggerla
da tutto il male
che le era stato inflitto,
ma non potevo.
Ero impotente,
lei non me lo avrebbe mai permesso.
Le baciai la gola bagnata,
succhiai le goccioline d'acqua
a contatto con il suo corpo,
mentre lei chiuse gli occhi pieni
di lacrime e mi disse che le dispiaceva,
se era ancora qui ad infastidirmi.
"Ma cosa dici.
Vorrei che tu fossi sempre qui, con me.
Non ti tratterei mai come ti tratta lui.
Devi lasciarlo cazzo,
devi farlo per te stessa,
se non vuoi farlo per me."
Le dissi cullandola tra le mie braccia
mentre lei singhiozzava.
Mi si stringeva il cuore
a vederla in quel modo.
Le accarezzai la schiena e il corpo,
sempre più ossuto,
e la avvolsi in un asciugamano morbido,
e andammo nella mia camera da letto.
Le infilai i miei vestiti
ed una felpa pesante,
perché mi resi conto che stava tremando
e le portai da mangiare
non appena si sdraiò nel letto,
avvolta da una trapunta.
Aveva terribilmente freddo,
nonostante l'inverno
fosse finito già da un po'.
Chissà da quanto non mangiava
e da quanto si faceva trattare
in quel modo da quello stronzo.
Non se la meritava,
e la picchiava anche...
Un'ondata di rabbia e di collera nera
mi aveva attraversato tutti i nervi
mentre le preparavo la cena
e le portavo anche un po' di biscotti
e una torta che avevo cucinato
qualche giorno fa.
Portai tutto di sopra
e la costrinsi a mangiare.
Non aveva mai fame,
mi aveva detto,
ma si fece forza e mangiò
alcune fette di torta
e un pezzetto minuscolo di carne.
"Bravissima." Le dissi fieramente,
e le lasciai un bacio sulle labbra
sporche di cioccolato.
"Siccome sei stanca, ti lascio dormire. Buonanotte amore." Le dissi alzandomi
e chiudendo la porta alle mie spalle, lasciandola sola.
Non l'avrei mai lasciata andare,
non l'avrei mai dimenticata.
Non dopo averla vista in quello stato promisi a me stesso
che non l'avrei più persa.
Meritava l'amore,
e gli avrei donato tutto,
anche la forza di andare avanti.

L'amore come lo vedo ioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora