La resa dei conti

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"Lo avevo sempre pensato:
Non bastava neanche una vita per dimenticarti.
Delle volte,
succube della collera più assoluta,
lo urlavo a squarciagola,
in preda al panico,
col fiato corto
e mille bestie abominevoli che mi inseguivano.
Avevo la costante percezione di non aver via di scampo.
Delle volte lo affermavo con riluttanza,
come se questo sentimento fosse sempre stato più forte di me,
talmente complesso e atroce
da non venirne mai a capo.
Delle volte ero stata schiacciata dall'amore,
la mia intera essenza si era tramutata in qualcosa di etereo e fugace,
anche al mio sguardo apparentemente innocente.
Ero nata ed ero cresciuta come una combattente,
insieme a tutte le mie incertezze,
che fidati, erano davvero tante.
Per tanto tempo avevo deciso di intraprendere altre strade,
e che fossero state più strette,
più oscure, più irrazionali,
non me ne era mai importato granché.
Solo di fronte alla Luna e oltre le stelle,
mi rendevo conto che non ero stata sciocca nel perdermi,
si trattava solo e semplicemente di umanità,
di passeggera fragilità
che si era accanita contro di me.
Non mi ero lasciata abbindolare dalle persone che avevo incontrato nel corso degli anni,
ma da me stessa.
E sembrava un paradosso,
probabilmente la mia intera esistenza lo era.
Ma sapevo che quella era la verità,
io mi lasciavo guidare dalle mie paure,
dal mio orgoglio vile e traditore,
da notti insonni,
da pensieri che cantavano melodie stonate
e non mi facevano riflettere su altro.
Una lotta con me stessa,
tra ferite visibili e occulte.
Non ero in grado di guardare oltre,
bloccata da anni e anni di risentimenti.
Sapevamo entrambi che eri bloccato anche tu,
fermo e immobile nel desiderio di avermi,
ma nella paura di perdermi definitivamente.
Non avevamo osato,
non avevamo rischiato.
Ci avevamo provato fin troppo,
avevamo creduto che stare lontani potesse essere
la soluzione maggiormente adeguata.
Ma era da folli anche solo pensarlo.
Finché amore esisteva, amore rincorreva,
amore perseguiva, amore distruggeva
se le nostre pelli non si ogni toccavano ogni notte,
ma si sfioravano invece solo col pensiero e l'immaginazione.
Tempo scorreva,
non mi gettavo nel tuo profumo,
nelle tue mani.
Tempo...Maledetto tempo
che sfuggiva di fronte ai nostri sguardi,
che si bramavano come candele divampanti e fievoli in contemporanea.
Tempo che scorreva,
amore che tornava e spariva
in un andirivieni eccessivamente disorientante.
Amore non perdonava,
tempo puniva se sfuggiva troppo dalle nostre dita.
C'era mancato un soffio.
Il giorno che finalmente avevo capito,
tu stavi per partire.
Come potevo saperlo che il giorno in cui avevo compreso che amarti
era la scelta più importante della mia vita,
tu non avresti mai più incontrato i miei occhi?
Avevi deciso di proseguire gli studi in America,
in un altro continente.
Stentavo a crederlo,
lo avevi detto solo al tuo migliore amico.
Roma per te era divenuta una città vuota,
l'ultima volta che avevamo fatto scintille,
esse sfavillavano ancora tra i palazzi
che osservavi il mattino presto.
Ma prima o poi si spegneva tutto,
e così era stato.
Ci eravamo dati segnali profondamente errati,
vagavamo alla ricerca di un appiglio,
confondendoci in una persona sola
le notti in cui ci sentivamo più impotenti,
e al tempo stesso più forti per seguire i nostri istinti,
che non erano soltanto carnali.
Roma non aveva più senso,
così come la nostra storia,
o almeno era quel che ti eri costretto
a pensare in base alle circostanze.
Mai fidarsi dell'apparenza,
del destino infame.
Lo avevo lasciato proprio nell'istante
in cui stavi facendo le valigie.
Ero passata a casa tua, ma era vuota, chiusa a chiave,
così come il capitolo più significativo e dilaniante della tua vita,
o almeno così credevi.
Proprio quando avevo deciso di voltarmi tutto alle spalle,
tutto eccetto noi,
proprio quando avevo visto l'amore con i miei occhi,
il nostro amore sfavillare e non svanire più,
tu avevi deciso di chiudere la porta all'amore.
Non avrei mai potuto ipotizzare che l'ultima volta
sarebbe potuta essere veramente l'ultima.
E intanto i minuti scorrevano inesorabili,
e il tempo sfuggiva sotto le mie dita,
mentre le lacrime iniziavano a colare,
una dopo l'altra.
Dovevo almeno dirti addio, ma dov'eri?
Mi ero accasciata contro la tua porta,
con le ginocchia al petto,
stentando ancora a crederlo.
Avevo chiamato tua madre,
ma non mi rispondeva.
Quel silenzio assordante risuonava come uno schiaffo in pieno volto.
E poi, in seguito a vari tentativi,
avevo finalmente ricevuto una risposta dal tuo migliore amico.
Ero riuscita a strappargliela con tutta la disperazione che mi assaliva.
Non sapevo più a chi rivolgermi,
eri svanito nel vuoto che avevamo scavato a lungo.
Probabilmente, per quanto irrazionale potesse essere,
la voce dell'amore mi aveva donato un'ultima possibilità.
"Aeroporto di Fiumicino, il volo è alle 20.30 per Toronto."
Mi aveva detto soltanto, prima di riagganciare definitivamente.
Adesso, nel traffico, ripensavo a ciò che dovevo dirti
per farti restare per sempre con me,
augurandomi di poter fare in tempo.
Tempo, maledetto tempo che sfuggiva incondizionato
dalla molteplicità di eventi che seguivano
anni e anni di staticità e agonia,
di sprechi di momenti che potevano essere tutto,
e che invece non erano stati niente.
Era questa la giustizia,
una punizione ingestibile e indomabile?
Era questo il tempo?
Più forte dell'amore non c'era niente, ma forse...
No, non potevo demordere di nuovo,
non ora che il tempo stava per compromettere tutto.
Minuti si muovevano nel quadrante di un banale orologio
che segnava il corso del mio destino,
la possibile fine di un amore senza tempo.
Mi venne da ridere per l'ironica situazione che si era creata.
E poi, il taxi si fermò.
Io avevo già preparato i soldi ed ero già fuggita via,
come un'ombra che aveva già iniziato a destreggiarsi
tra la folla che mi separava dall'amore.
Gli ultimi ostacoli di quegli anni così neri...
19,25 e ancora nessun segno.
A breve si sarebbe imbarcato,
e addio amore, grazie tempo.
Mi restavano pochi minuti, ma erano abbastanza.
Esalai un profondo respiro,
e cominciai a correre,
guardando i tabelloni e dirigendomi nella giusta via.
19.45, ed eccoti lì, in cima alla fila per andare verso l'aereo.
Ti stavi togliendo la cintura dei pantaloni,
e stavi posando l'orologio lungo il nastro che scorreva a rilento,
insieme ad una moltitudine di oggetti insignificanti
di sconosciuti che non ti facevano notare la mia presenza.
Urlai il tuo nome,
ma era come gridare nel bel mezzo di un'isola deserta.
Superai la fila, stavo creando scompiglio,
la gente mi urlava di fermarmi,
mi riempiva di parolacce.
Con le lacrime agli occhi, i capelli scompigliati,
sembravo pazza.
Ma sì, ero folle dell'amore che mi stava per sfuggire dalle mani,
per colpa mia,
e non per colpa del tempo.
Ebbi appena un istante per gridare per un'ultima volta il tuo nome,
quando un uomo della sicurezza mi bloccò.
Cercai di divincolarmi,
ma non serviva più oramai.
Ti eri finalmente accorto di me,
avevi sgranato gli occhi e ti veniva quasi da urlare.
In quel momento sembravo un imprevisto,
qualcosa che aveva stravolto i tuoi piani.
19.58, forse non era tardi.
L'orologio lo avevo guardato per un'ultima volta,
scoppiando a ridere e beffeggiandomi del tempo.
Avevi preso le tue cose,
ti eri allontanato da tutti e ti eri avvicinato a me,
portandomi via in disparte.
Ed eravamo lì, i nostri occhi in fiamme.
Eravamo lì, volto a volto.
Volevi odiarmi,
ma proprio non ci riuscivi.
Non mi avevi ancora detto addio,
anche se ti eri illuso di averlo fatto.
L'uno di fronte all'altro,
con amore e tempo stretti in un pugno,
eravamo alla resa dei conti."

L'amore come lo vedo ioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora