Il Conte Ugolino parla Sardo

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In molte scuole italiane viene studiato il celebre XXXIII canto dell'Inferno della Divina Commedia che presenta la figura del Conte Ugolino della Gherardesca, un uomo nobile pisano e politico ghibellino. Dante lo colloca nei traditori della patria poiché il Conte venne ritenuto responsabile del disastro della Battaglia della Meloria, una storica battaglia navale dove la flotta pisana, comandata proprio dal Conte Ugolino, venne battuta ed egli venne considerato un vigliacco traditore, in quanto l'intera armata navale si salvò.

La memoria del Conte Ugolino è nota al popolo Sardo perché egli compì diverse spedizioni nell'isola e spartì, insieme a Gherardo III, il Regno di Cagliari. Ha vissuto anche ad Iglesias, provincia del Sud Sardegna, nel Castello di Salvaterra, ancora oggi in attività e risulta essere teatro di ingenti attività culturali.

 Ha vissuto anche ad Iglesias, provincia del Sud Sardegna, nel Castello di Salvaterra, ancora oggi in attività e risulta essere teatro di ingenti attività culturali

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Venne rinchiuso nel Castello di Acquafredda insieme alla famiglia ed è proprio di questo che parleremo nel nostro articolo di oggi.

Ugolino divenne Vicario della Sardegna nel 1252 e la sua residenza era proprio il Castello di Acquafredda a Siliqua, un comune a Sud dell'isola

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Ugolino divenne Vicario della Sardegna nel 1252 e la sua residenza era proprio il Castello di Acquafredda a Siliqua, un comune a Sud dell'isola. Tale reggia è ancora oggi visitabile e si può ammirare, seppure da lontano, anche dalla strada. Pensate che con le scuole ma anche con dei gruppi di teatro indipendenti, vengono realizzate delle scene e degli spettacoli sulla Divina Commedia proprio all'interno del Castello.


«Poscia che fummo al quarto dì venuti
Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,
dicendo: 'Padre mio, ché non mi aiuti?'.

Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid'io cascar li tre ad uno ad uno
tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond'io mi diedi,

già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti
Poscia, più che il dolor, poté il digiuno".

Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti
riprese 'l teschio misero co' denti,
che furo a l'osso, come d'un can, forti
»

(Inferno, canto XXXIII, vv. 67-78).


Nel Canto Dante affronta il tema del cannibalismo, sostenendo che il Conte abbia compiuto tale gesto verso i figli, rinchiusi insieme a lui nella torre del castello, ma solo dopo uno studio successivo questa informazione è stata smentita. Egli però verrà ricordato con il soprannome di "Conte Cannibale" e anche nelle varie rappresentazioni lo si può vedere nell'atto di mordersi le mani.

Quando nel 2001 vennero ritrovate le ossa, non vi erano tracce di zinco, definito il minerale della vita, sostanza fondamentale per indicare il consumo di carne prima del decesso

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Quando nel 2001 vennero ritrovate le ossa, non vi erano tracce di zinco, definito il minerale della vita, sostanza fondamentale per indicare il consumo di carne prima del decesso. Gli storici affermano, quindi, che l'uomo sia morto sopraffatto dalla fame e che il terribile gesto non sia mai avvenuto.

Noi, comunque, preferiamo lasciarvi alle dolci parole di J. Luis Borges, che si è espresso sulla veridicità dell'episodio in un saggio del 2001 e ne parla così:

"Dante ha voluto non che lo pensassimo, ma che lo sospettassimo. L'incertezza è parte del suo disegno".

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