Essere o non essere, non è un dilemma

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Frank e Nicolas se ne stavano seduti su una panchina, davanti a loro dei bambini giocavano in quel bellissimo parco-giochi circondato dal più bel verde di sempre, in contrasto col cielo nuvoloso.
Tonno non l'aveva presa affatto bene, la notizia di quei poteri arrivati dal nulla.

Cesare aveva aiutato Francesco a sedersi sull'erba, con la schiena poggiata sul tronco di un albero. Doveva riposare, era decisamente troppo pallido e sembrava anche parecchio provato dalla sparizione di Alyssa, ma soprattutto di quel malessere che lo aveva assalito all'improvviso.
Dopo qualche minuto, Nelson si fece avanti e raccontò all'amico, per filo e per segno, quello che era successo in quelle ore.
Francesco non aveva risposto, se ne era stato zitto.
Poi si era alzato, anche se a fatica, li aveva guardati tutti e poi aveva sbottato:
« Voi siete matti. »
Li aveva sorpassati, il fiatone che aveva ricominciato a farsi intenso. Cesare si stava per avvicinare a lui per aiutarlo di nuovo, ma Francesco si scostò immediatamente.
« Non toccarmi!
Lasciatemi solo. »
« Capisco che la cosa abbia del surreale, ma... » Nelson non riuscì nemmeno a terminare la frase.
« Voglio starne fuori. 
Questa è follia. »
In quell'attimo, tutto quel sentirsi pesante si era trasformato ed era diventato un voler fuggire lontano da quei pensieri che andavano oltre l'immaginabile.
« E i video su Space Valley?! » gli urlò dietro Cesare, sebbene quelli fossero già compromessi dall'assunzione di quei poteri.
« 'Fanculo Space Valley! »
Fu l'ultima frase che sentirono uscire dalla bocca di Tonno, poi lui corse via e da allora non aveva risposto più a nessun messaggio e a nessuna chiamata. Tutti quanti erano davvero preoccupati per lui.

« Pensi che starà bene? » chiese Nicolas al più grande, guardando innanzi a sé.
« Lasciamolo metabolizzare. »
Frank sapeva sempre la cosa giusta da dire.

( . . . )

Era passato un mese da quella discussione con Tonno in mezzo al bosco e Nelson, da allora, si era chiuso in garage, estraniandosi totalmente dal mondo esterno, uscendo di lì solo per andare a dormire. Quando aveva fame ordinava schifezze da JustEat, di solito McDonald.
Nella sua mente gli si era accesa una lampadina già da un bel po', e se tutto fosse andato secondo i suoi piani, avrebbe realizzato ciò che l'uomo sogna di fare da tempo...
Beatrice, tuttavia, non era affatto contenta di questo suo comportamento, anzi. Era davvero preoccupata per lui.
Si guardò un attimo allo specchio, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Era da un sacco che Nelson le chiedeva quando si sarebbe rifatta la tinta rosa. E lei sperava che, per questo motivo, lui ritornasse a notarla.
In quel periodo Nelson era diventato strano, schivo. Sembrava quasi che persino parlarle risultasse una scocciatura.
« Coraggio, Beatrice. »
Si disse fra sé e sé la ragazza, buttando giù un bel respiro. Poi si diresse verso la porta, pronta per affrontare quella testa dura di Nelson.

Quest'ultimo se ne stava seduto su quello che sembrava un taxi giallo, con la schiena incurvata verso il piccolo monitor che lui stesso aveva installato e poi collaudato. I finestrini erano abbassati.
Beatrice rimase a fissarlo, davanti all'entrata del garage, non riuscendo a credere ai suoi occhi. In quel momento capì perché Nelson non volesse che lei entrasse lì.
« Nelson? »
« Ah, ciao, Bea » la risposta del ragazzo parve svogliata, in realtà era concentrato su altro.
Beatrice corrucciò la fronte, poi si avvicinò alla vettura ed aprì la portiera. Entrò all'interno del taxi e chiuse la portiera con un movimento secco del braccio.
« NELSON. »
A quel punto il ragazzo citato si girò verso di lei, la guardò per un attimo e poi tornò a dare la sua attenzione a ciò che aveva davanti.
« Carini, » commentò, ma il suo tono risulto piatto « i capelli. »
Beatrice rimase a guardarlo non riuscendo a dire niente. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo, insultarlo. Ma ciò che riuscì a sentire fu solo una grandissima delusione.
Non aveva idea di quello che aveva in mente di fare con quel taxi ma, alla fine, Bea si disse che non aveva poi così tanta importanza.
Sebbene sapesse bene che fare il taxista era stato uno dei sogni d'infanzia del piccolo Nelson.
Due minuti dopo, il giovane uscì dal taxi ed andò di fronte ad esso per contemplarlo.
« Ora è perfetto » disse lui, soddisfatto « cosa ne pensi, Bea? Ti piace? »
Ma di Beatrice non c'era traccia.
Nelson sapeva che non si era comportato bene con lei, perché l'aveva trascurata e lasciata sola. Tuttavia, il progetto che aveva appena realizzato era importante. Qualsiasi altra distrazione avrebbe ritardato la sua nascita.

Beatrice se ne stava seduta sul pianerottolo che affacciava alla porta di casa, silenziosa.
In quel momento Nelson la raggiunse e si mise vicino a lei.
« Scusa, » aveva iniziato lui, dopo un lungo silenzio « ti stanno davvero bene i capelli. »
Beatrice avrebbe voluto tenergli il broncio più a lungo, ma poi spostò lo sguardo su di lui e lo fissò attentamente.
« Mi spieghi quello che sta succedendo? »
« Vieni, » Nelson si alzò e le fece segno di seguirlo « devo farti vedere una cosa. »
Tornati al garage, Nelson rimostrò a Beatrice la vettura.
« È un semplice taxi giallo. »
Disse lei.
« Un taxi giallo del tempo, vorrai dire. »
Beatrice inarcò un sopracciglio, sbattendo le palpebre.
Sì, Nelson avrebbe dovuto darle molte spiegazioni.

( . . . )

Che belli gli Stati Uniti.
Un'alta figura vestita con un completo scuro camminava per i corridoi della casa bianca.
Occhiali da sole sul naso, schiena diritta, mento alto.
Quando fu davanti alle guardie del corpo del presidente, il quale era occupato a fare una riunione abbastanza importante, Dario si sfilò gli occhiali e li mise in testa.
« Ho una consegna indirizzata al presidente degli Stati Uniti d'America. »
I bodyguard non capirono come avesse fatto quel giovane ad entrare senza problemi, superando sistemi di sicurezza avanzati, poliziotti e telecamere di sorveglianza.
Uno di loro prese Dario per la collottola, pronto ad immobilizzarlo sul pavimento.
Dietro le spalle altrui poteva chiaramente vedersi una scia d'inchiostro. Essa, tuttavia, sembrava decisamente più densa; pareva più sangue.
« Ho detto che ho una consegna per il presidente » ripeté Dario, mentre i suoi occhi si tingevano dello stesso colore della morte.

( . . . )

Francesco non usciva da un bel po' di tempo. Non aveva più voluto vedere nessuno: famiglia, nuovi incontri con ragazze, persino i suoi amici. Soprattutto loro.
Non voleva assolutamente pensare a quest'ultimi, si rifiutava categoricamente di farlo.
All'improvviso, mentre faceva zapping col telecomando, lo schermo del suo televisore divenne nero e come questo, anche tutti quelli dell'intero pianeta terra.
« Siamo in onda? » chiese retoricamente una voce inconfondibile.
Cesare rimase immobile, con il joystick della PlayStation in mano.
Nicolas e Frank, dentro l'Euronics e davanti ad una vetrina di televisori, videro la faccia di Dario praticamente ovunque.
« Grazie, Donald. Questo vino è ottimo. »
Una figura dietro le spalle del giovane mezzoragno, vestita anche questa di tutto punto; essa tremava, ma Dario gli aveva detto di posizionarsi in maniera tale da non fare vedere la sua faccia. Non sarebbe stata allettante come umiliazione, non era certo nel suo stile. Così di pessimo gusto.
Il calice in cristallo venne poggiato sulle sue labbra, perdendo apposta del tempo.
Di sottofondo, si udirono delle voci addolorate, uguali ai lamenti delle anime dannate dell'inferno della Divina Commedia.
« Vi chiederete cosa ci faccio qui, giusto? » disse, guardando il vino ondeggiare mentre muoveva il calice in modo circolare.
« Oh, ragazzi. Non siate sciocchi.
Te l'ho detto, Nicolas. Il mondo sta per finire » poi lo sguardo di Dario finì dritto sull'obbiettivo della telecamera.
« A meno che voi, cari amici miei, non uniate le forze per riuscire a contrastarmi.
Vi do due mesi. Né un giorno di più, né uno di meno.
Due mesi per scoprire come potermi annientare.
Buona fortuna. »
Detto questo, in un inglese impeccabile — mentre in tempo reale qualcuno traduceva il tutto, doppiandolo — egli si alzò, si volse verso la figura del presidente e poi... gli conficcò una delle zampe di ragno sul petto, trapassando l'organo vitale. Quando tolse l'artiglio, il ragazzo venne ricoperto a fiotti di sangue fresco e dall'odore pungente di esso.
« Donald, Donald, Donald...
Non lo sai che il vino bianco non va affatto bene per un'occasione come questa? Avresti dovuto leggere più approfonditamente il galateo.
Non lo pensate anche voi, miei gentili telespettatori? »

OBSCURIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora