La corsa di Galileo

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Francesco entrò all'interno della cucina dello studio di Space Valley, laddove trovò il suo amico Dario intento a preparare qualcosa.
Sul fuoco dei fornelli vi era a bollire una grossa pentolaccia in acciaio.
« Oi, Dario » lo aveva salutato il biondo
« cosa ci cucini di buono oggi? »
Dario, con indosso un grembiule nero, alzò lo sguardo per guardare l'altro, incurvò un leggero sorriso ma non gli rispose.
Francesco, incuriosito, si avvicinò all'amico, sporgendosi verso i fornelli per capire meglio quello che Dario stava combinando. Appena lo fece, tuttavia, con un gesto rapido Dario alzò il coperchio della pentola, con l'altra mano afferrò bruscamente il biondo per la nuca e poi gli sbatté la testa sul liquido bollente che vi era all'interno, con violenza, in maniera incontrollata.
Urla.
La faccia. Gli si stava sciogliendo la faccia.
Quando Dario tirò su il viso di Francesco, quest'ultimo non c'era più: sembrava una lezione di anatomia, dove si vedeva soltanto quella parte rossa e informe sotto alla pelle, senza naso né labbra.
L'urlo di Munch.
Acido. Aveva sbattuto più volte la sua faccia nell'acido.
Poi un flash bianco.
Occhi azzurri che, piano, si spalancavano.
Altro bianco.
Francesco si mise seduto, mentre la testa continuava a martellargli.
Ebbe l'impulso di toccarsi il viso e sospirò di sollievo nel constatare che esso fosse totalmente intatto.
Era stato tutto solo un brutto incubo.
Nonostante il dolore alle tempie, Francesco si alzò e si guardò attorno ma non si girò alle sue spalle: ancora quell'enorme corridoio bianco con quelle porte altrettanto bianche.
Non se ne rese nemmeno conto ma, dietro di sé, vi era un enorme portone candido; così grande da occupare tutta la parete.
Doveva trattarsi del capolinea, l'ultima porta da attraversare.
Ma Francesco non si girò, strinse i pugni e decise di tornare indietro.
Trenta minuti rimanenti.

( . . . )

« Aspetta un attimo » Nicolas si era fermato di botto, mentre Frank aveva iniziato a guardarlo con sguardo curioso, nonostante avesse già capito dove l'altro volesse andare a parare.
« Sai anche tu che qui dentro noi non siamo al sicuro, vero? »
Frank annuì «anche Nelson sembra essersene accorto. »
« Io mi fido di lui. Di tutti voi. »
Nicolas chiuse gli occhi e prese un piccolo respiro: in quel momento il suo corpo si fece leggerissimo, divenne inanimato; trasparente come i fantasmi nei film degli anni novanta.
« Perciò, affrontiamo questa battaglia...
insieme. »
All'improvviso, l'essenza di Nicolas si sovrappose all'esistenza di Frank; entrambi erano diventati un'unica entità, due anime in un solo corpo.
Frank si sentì di colpo più rilassato, più del normale; in quel momento parve aver finalmente trovato la propria pace interiore.
Abbassò il capo sul pavimento, andando a recuperare gli occhiali da sole che Nicolas, diventando trasparente, aveva fatto, giustamente, cadere al suolo.
Se li mise, continuando il proprio cammino.
Poi sentì la natura chiamarlo, l'inconfondibile fruscìo del vento.
Ora toccava a lui...
o meglio, a loro, attraversare il destino.
Un limbo che li avrebbe resi prigionieri per sempre.
O quasi.

( . . . )

A Francesco parve di star facendo più strada di quanto ne avesse fatta all'andata.
Ad un certo punto sentì un rumore da una delle porte, — il che lo fece sussultare — man mano, con sempre più insistenza; sembrava che qualcuno stesse cercando di sfondarla. Ma il biondo non si fermò e andò avanti.
Nello stesso tragitto incontrò un'altra porta, questa intrisa di umidità e d'inchiostro, quest'ultimo era ovunque: negli angoli, sul pavimento, attorno, sopra la porta stessa.
Senza rendersene conto aveva affrettato il suo passo, sino a correre del tutto. Gli parve, quasi, di udire voci di persone dannate, pianti isterici; pazzia pura.
Cinque minuti.

( . . . )

Cesare era appena uscito dall'Università, avrebbe dovuto incontrarsi con la sua fidanzata Sofia tra meno di mezz'ora.
Controllò l'ora sul polso e poi sospirò, pensando inevitabilmente a Nelson, suo cugino.
Sotto e sopra l'occhio destro gli si era formata una cicatrice, ancora gli procurava molto dolore ma perlomeno era diventato sopportabile.
Le cicatrici di guerra, nei videogiochi, lo avevano sempre affascinato, ma la propria... la odiava.
La odiava da morire.
Stava attraversando Piazza Maggiore, la quale quel giorno parve deserta.
Poi una luce abbagliante lo costrinse ad alzare lo sguardo in alto, nel cielo.

( . . . )

Due minuti.
Francesco era arrivato al taxi, ma parve essere l'unico ad averlo fatto.
Era quasi passata l'ora stabilita, perciò il biondo iniziò a preoccuparsi.
Il suo primo pensiero fu quello di tornare indietro e cercarli, ma la sua mente poi optò per entrare all'interno del taxi. Ma si bloccò ancor prima di poterlo fare.
Ad un tratto, il suo viso venne illuminato dall'apertura di un portale inter-dimensionale.
Un altro taxi del tempo sfrecciò verso di lui, i finestrini oscurati si abbassarono e Francesco dovette correre all'indietro per non farsi beccare, rischiando anche di inciampare.
I suoi occhi incontrarono quelli di... se stesso.
Questo tese un braccio e poi gli lanciò addosso una valigetta, che l'altro prese al volo.
« Tredici Novembre duemilaeventi, universo trecentoquindici.
Non fare cazzate! » detto questo, colui che sembrava il suo gemello siamese, fece marcia-indietro con la vettura e se ne andò senza dare altre spiegazioni.
Sessanta secondi.
Il timer sul suo braccialetto iniziò a lampeggiare, l'allarme del taxi del tempo, invece, a suonare incontrollatamente.
Francesco, di impulso, salì sul taxi e, nonostante fosse ancora sottoshock e coi nervi a mille, impostò la data dettagli dall'altro sé.

13 - 11 - 2020
Universo 315

( . . . )

L'occhio di Cesare si chiuse in una piccola fessura, poi lo sgranò, gettandosi sul terreno dalla parte opposta a quello strano taxi giallo che, da un momento all'altro, si era ritrovato cadere dal cielo.
Destinazione? Per fortuna non più la sua testa.
Esso si schiantò non tanto lontano da lì, fuorusciva del fumo. Tanto fumo, in realtà.
Ma non sembrava rotto, solo molto ma molto ammaccato.
Strano, considerando l'altezza della caduta. Quale materiale aveva usato Nelson per costruirlo?
L'unica pecca era, tuttavia, quella grossa quantità di fumo. E quando Francesco aprì la portiera che affacciava al sedile del guidatore, questo parve triplicare.
Il biondo tossì, abbracciando la valigetta e uscendo al contempo dalla vettura gialla.
« Dio mio, io nemmeno ci volevo venire! »

OBSCURIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora