I ricordi di Giulietta

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Aveva il fiatone, l'entrata dell'Università alle sue spalle. Non capiva il perché di quei sentimenti così forti verso una persona che, teoricamente, avrebbe dovuto essere soltanto uno sconosciuto. Se di questo si trattava, allora, perché le parve di conoscerlo fin troppo bene?
M. prese un lungo respiro e poi si incamminò verso casa. Ma le cose non sembrarono migliorare, quello sconosciuto era diventato un chiodo fisso, sino a divenire parte integrante della propria testa.
Di notte, quando sognava, le venivano mostrate scene di vita quotidiana di questa ragazza dai capelli ricci che assomigliava a lei in tutto e per tutto, ma sembrava essere al contempo lontana anni luce.
Piangeva nel sonno, ogni volta. Ad M. parve quasi che le lacrime macchiassero le sue guance di inchiostro; presto capì che era tutta un'illusione.

In uno stretto e lercio vicolo, una mano affusolata accarezzò la guancia di quella fanciulla dal riccio crine biondo.
Sempre quell'ossessione fatta a ragazzo, aveva chinato il viso per poter baciare la bambolina di fronte a sé.
Era così dolce, così premuroso.
Il cuore non la smetteva di battere, ogni carezza di lui sembrava farle toccare il cielo con un dito.
Dopo qualche attimo, lei aprì gli occhi.
Giurò di aver visto lo sguardo del fidanzato tingersi di nero.
Istintivamente, M. indietreggiò.
Non sembrava più lo stesso Dario che aveva conosciuto lei. Provò timore.
Lo sorpassò, iniziò a correre.
E lui stranamente glielo lasciò fare, nemmeno provò a fermarla.
Un pezzo di ghiaccio.
Quello fu l'ennesimo sogno.

La mattina seguente camminava per Piazza Maggiore: non era tanto affollata, ma nemmeno deserta. Si poteva camminare senza il rischio di scontrarsi inavvertitamente contro qualcuno.
Poi, i suoi occhi azzurri furono attratti da un cane bianco intento a sonnecchiare accanto al suo padroncino, questo seduto su una sedia mentre suonava la sua chitarra per racimolare qualche spicciolo.
« Che carino! » esclamò, gioiosa
« Come si chiama? »
Il ragazzo, vestito con una tuta da ginnastica nera e un lungo cappotto malandato, le occhiaie sotto agli occhi, spostò lo sguardo verso il cane.
Questo alzò di poco il capo e aprì i suoi occhi bianchi: essi non avevano né iride, né pupilla. Iniziò a fissare quella ragazza, come se volesse leggerle dentro e, allo stesso tempo, farsi leggere da lei.
M. iniziò a tremare « È cieco...? »
« No, non lo è.
Si chiama Bic. »

( . . . )

Da quando aveva guardato quel cane negli occhi, non solo le sembrava di possedere dei lontani ricordi di se stessa di  un'altra vita, ma aveva dei momenti in cui vedeva questo taxi giallo e dei ragazzi all'interno di esso.
Le stava scoppiando la testa.
Stava impazzendo,
impazzendo,
IMPAZZENDO.

( . . . )

Il suo istinto le aveva detto di dirigersi in Piazza Maggiore e così lei aveva fatto: aveva riconosciuto quegli stessi ragazzi delle sue visioni e dei suoi sogni, questi parlavano e lei, nascosta dall'altra parte della fontana, sentiva quello che loro si dicevano.
Iniziò nuovamente a tremare.
Era tutto così surreale, era angosciante.
Ma, nonostante tutto, li pedinò.
Un ragazzo biondo aveva aperto la portiera di quel taxi, poi si era allontanato perché uno degli altri lo aveva chiamato, lasciando la vettura incustodita.
Lei si era intrufolata dentro essa ed era rimasta sbalordita.
« È più grande... all'interno » mormorò, poi sentì delle voci.
Lei, frettolosamente, si andò a nascondere dietro l'enorme cassa situata in fondo a quello che sembrava essere un enorme pullman, invece che un taxi.
Sentiva il cuore in gola, ma mai quando, in poco tempo, aggrappandosi alla cassa, sentì tutto attorno a sé tremare.
Dopo qualche minuto, sentì sempre quei ragazzi scendere dalla vettura ma uno di loro, invece, restò a bordo.
Era nuovamente quel ragazzo biondo, il quale guardava spesso verso quella che, ad occhio e croce, sembrava un'enorme chiesa.
M., cercando di non fare rumore, di nascosto, uscì fuori con l'ausilio della portiera centrale: si ritrovò subito seduta sul sedile dietro del taxi ma uscì talmente in fretta che il ragazzo biondo nemmeno se ne rese conto.
Lei si mise a correre, alzò lo sguardo in alto e poi realizzò: quella non era Bologna.

Vederlo lì, un'altra volta, la bloccò per qualche attimo: aveva iniziato a respirare male, il cuore batteva fortissimo.
Rivederlo, fu come se le avessero pugnalato cento volte il petto.
Poi, stringendo i pugni, si prese coraggio:
« DARIO! »
I due si guardarono e lui parve non aspettarsi minimamente la sua presenza.
Lei continuava a tremare, poi le parole le erano uscite di bocca da sole, sino a che non raggiunse il balcone non tanto distante dall'uscio di quella stanza.
« Addio, Dario. »
Lo guardò per l'ultima volta, tendendo una mano verso di lui mentre precipitava oltre quel balcone, nel vuoto più assoluto.
Per qualche istante, sperò che lui le afferrasse la mano e come se l'avesse ascoltata, all'improvviso, se la sentì afferrare davvero, per poi essere braccata in un forte abbraccio.
Una morsa decisa: era calorosa, sapeva di casa.
Tutt'attorno sembrò fermarsi di colpo, tutto si fece di ghiaccio.
Le sue palpebre si chiusero, addolcendo un sonno che prima sembrava caldo, poi all'improvviso decisamente fin troppo gelido.

Mi stai prendendo per il culo?

La mente di Dario aveva cominciato a tormentarlo, e quello doveva essere soltanto l'inizio.
Il giovane ebbe spasmi incontrollati, tant'è che si staccò subito dalla ragazza: essa rimase sospesa in aria.
Dario si guardò attorno, poi in alto: Nicolas lo guardava, le ali d'angelo aperte.
Se il tempo fosse ripartito li avrebbe aiutati nuovamente.
Ma cazzo, sul serio?
Velocemente, i suoi occhi si posarono su quel portale bianco che, man mano, si stava chiudendo.
Quell'universo avrebbe dovuto collassare, collassare, collassare.

'Fanculo.

Digrignò i denti: Dario sembrava davvero molto, ma molto infastidito.
Come aveva osato... come aveva osato lei a stringergli il cuore con così tanta intensità?

No, no.
No, no, no.
NononononononONONONONO.
NO.

I suoi occhi alternavano tra delle bellissime iridi umane, a quello sguardo completamente nero e animale; come il disturbo di un vecchio televisore che prende male il suo segnale.
Il suo corpo divenne una nube di fumo oscura e, con uno scatto fulmineo, sfrecciò all'interno del portale.
Nicolas, di conseguenza, si fece nuvola luminescente e seguì l'altro a ruota.
Il portale si chiuse subito dopo, per sempre.
Dario aveva aspettato ben per due mesi lì dentro, per quello scontro.
Ed ora, quel luogo l'avrebbe ricordato come l'universo ibernato.
M. si ritrovò a piangere stalattiti di ghiaccio
per l'eternità.

Universo 315
CANCELLATO

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