La malattia di Leopardi

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L'unico a sapere dove abitasse Cesare era Nelson, perciò l'occhialuto si fece più che disponibile per far strada agli altri.
Era un po' in ansia, perché non sapeva che reazione avrebbe avuto il cugino, che prima frase avrebbe usato una volta incontrati.
Francesco continuava a guardare il piccolo canide bianco: Frank gli aveva detto si chiamasse Bic, perciò il biondo dedusse, per quanto potesse essere assurda una cosa del genere, che quello doveva essere il loro amico Nicolas — soprattutto per gli occhi senza iride, né pupilla. Esso se ne stava tranquillo e buono e li seguiva ovunque, sembrava quasi il loro angelo custode.
Erano usciti dal portale della fontana situata in Piazza Maggiore e non dovettero andare nemmeno tanto lontano. Lì vicino videro Cesare, di spalle, intento a contemplare la vetrina di un negozio.
D'istinto, lui si girò e si ritrovò davanti suo cugino Nelson.
Un po' titubante, con passo svelto, gli si avvicinò, ma si fermò a pochi passi da lui.
Rimase a guardarlo.
Gli parve passata un'eternità dall'ultima, macabra volta in cui lo aveva visto.
Il cugino aveva ancora il collo marchiato da quelle corde finissime di chitarra.
Cesare deglutì.

( . . . )

Aveva detto che sarebbe tornato per uccidere la sua famiglia e poi, alla fine, anche lui.
Nelson non faceva altro che pensare a quella figura, si nascondeva sempre sotto le coperte e piangeva, piangeva a dirotto.
Piangeva come se non sapesse fare nient'altro nella sua vita.

Piagnucolone.

Una voce.
Quella voce.
Nelson iniziò a tremare, sentì il piumone scostarsi, come se qualcuno si fosse messo accanto a lui, sdraiato lì, sul suo morbido e confortevole letto.
Nelson aveva iniziato a singhiozzare, temendo il peggio.
La mano dell'Incubo accarezzò i suoi capelli ricci, avvicinandosi poi sull'incavo del collo ed accarezzando anch'esso, con i polpastrelli.

Non è successo niente alla tua famiglia,
piagnucolone.

Nelson, tuttavia, non la smetteva più di piangere in silenzio.
Tremava, aveva una gran paura. Voleva restare solo, perché la testa aveva cominciato a fargli molto male; sentiva quel parassita che stava iniziando a divorarlo dall'interno solo con l'intento di farlo impazzire.

Diventiamo amici, ti va?
Io sono Ilario.
E conosco moltissimi giochi divertenti
che potremmo fare insieme.

Avere un amico immaginario a quell'età era davvero molto strano. Nelson, infatti, non ne aveva parlato con nessuno a parte la sua psicologa — sua madre e il suo compagno, infatti, lo avevano scoperto grazie a lei.
Da lì erano partiti anche gli psichiatra e gli psicofarmaci.
Era stato uno stupido, non ne avrebbe dovuto parlare con nessuno.
Mai.
Mai e poi mai.
Mai, mai, mai.
MAI.

( . . . )

« Ti voglio bene », aveva sussurrato Cesare, braccando il cugino in uno stretto abbraccio.
Lui ricambiò, leggermente.
Cesare non la smetteva di singhiozzare, come se si stesse dando la colpa di tutto.
« È tutto ok, davvero.
Coraggio » Nelson gli accarezzò la schiena, sentendo tuttavia gli occhi pizzicare.
L'occhio destro, lo aveva notato.
Cesare aveva perso l'occhio destro.
Fottuto Ilario del cazzo.

( . . . )

« Lui mi costringe a farmi del male. »
« Lui chi? »
« Ilario. »
La psicologa lo guardava con freddezza ma, per un solo istante, parve rabbrividire.
« E cosa ti costringe a fare Ilario? »
« Quando faccio la doccia, lui entra con me. »
« E cosa fa? »
« Mi accarezza i capelli.
Lui mi fissa e basta.
Poi, un giorno, all'improvviso... » Nelson si toccò istintivamente i polsi « Mia madre di solito lasciava le sue lamette all'interno della doccia.
Dopo quell'episodio le nasconde sempre tutte. Qualsiasi oggetto appuntito è sparito da casa nostra, in realtà. »
« Cosa ti ha costretto a fare Ilario? »
Nelson deglutì.
Poi mostrò alla donna i segni inflitti sui propri polsi, e non solo. Anche lungo le braccia. Sulle gambe, le caviglie.
Non avrebbe dovuto mostrare niente.
Niente di niente.
Si sentì subito uno stupido.
Pensarono tutti che Nelson dovesse andare in un centro di riabilitazione per malati mentali e starsene lì per un po'. Sua madre, disperata, concordò.
Ma lì dentro le cose non finirono.

OBSCURIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora