Cantelli, abbiamo un problema!

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Conto alla rovescia.
Dieci...
Nove...
L'astronauta osservava il vasto azzurro terrestre oltre il vetro del suo casco.
Un cielo sereno, come non l'aveva mai visto prima.
Un cielo sereno, almeno quello.
Otto...
Sette...
Perché la vita era stata una vera figlia di puttana?
Sei...

Suo cugino morto, in quel momento dinnanzi ai propri occhi, impiccato con le corde di quello strumento che amava più della sua stessa vita.
Gli occhi pizzicavano, Cesare gli si avvicinò tremante, abbassò lo sguardo e raccolse da terra il berretto blu di suo cugino.
« Nelson... » aveva sospirato, poi si era aggrappato alle sue gambe ed aveva iniziato ad urlare, a dare di matto « cazzo, Nelson! CAZZO! »
Le lacrime scendevano incontrollate. Quegli occhi privi di vita, quella pelle così pallida... no, non era vero.
Non poteva esserlo.
Non lo stava lasciando sul serio.
« Perché lo hai fatto?! SPIEGAMI IL PERCHÉ! »
« Signore, la pregherei di allontanarsi » fece un poliziotto, avvicinandosi a Cesare per farlo allontanare dall'oramai cadavere.
« Cerchi di mantenere la calma! »
Cesare si girò verso l'uomo e lo afferrò per la collottola, digrignando i denti.
« Mio cugino si è appena suicidato ed io dovrei stare calmo?! »
Il poliziotto sussultò, ma poi riprese subito compostezza.
« Non complichi la situazione più di quanto non lo sia. »
Cesare era davvero incazzato ma quelle parole gli fecero realizzare la realtà dei fatti:
Nelson era morto e non sarebbe più tornato indietro, nemmeno se avesse pestato a sangue quell'incompetente in divisa blu.
Avrebbe tanto voluto sprofondare sotto terra anche lui.

( . . . )

Si ritrovò dinnanzi un'ennesima porta bianca, ma questa parve diversa dalle altre: lo attirò a sé, sembrava possedere un qualcosa di mistico e Cesare non poteva assolutamente sottrarsi al suo destino.
Vi era soltanto lui e nessun altro, gli altri si erano volatilizzati nel nulla.
Nemmeno si era reso conto di essere rimasto solo.
Una volta girato il pomello, iniziò a pizzicargli l'occhio destro, perciò sfregò una mano su questo, ottenendo tuttavia più fastidio di prima.
Avanzò di un passo e l'atmosfera si fece notevolmente più gelida.
Riconobbe la cucina di casa sua, un po' meno la figura in controluce intenta a contemplare un coltello da carne affilato e di media grandezza, esso sulla mensola vicino al lavello.
Sembrava anche piuttosto tardi, perciò doveva essere l'unico sveglio in casa.
Che fosse suo fratello?
La figura afferrò il coltello e si allontanò da quella stanza, fermandosi davanti alla porta della cantina, situata vicino a quella dello sgabuzzino.

È tutta colpa tua se Nelson è morto.
Avresti dovuto stargli più vicino.
hahaHAHAhahaHAHAHA
Che cugino di merda sei?
HAHAHAhahaHAHAhaha
Non ti vergogni?
VERGOGNATI.

« Cosa diavolo...? » sussurrò Cesare, ascoltando quella voce molto familiare torturargli l'udito.
Dario.
Ancora lui.

( . . . )

Oltre alla musica, Nelson gli aveva confessato che gli sarebbe piaciuto studiare astrofisica e fisica dello spazio.
Ma sia per scarsa autostima, sia per paura, aveva totalmente accantonato questo suo altro grande desiderio.
Cesare lo aveva sempre supportato, ma forse non come avrebbe dovuto. Probabilmente aveva fatto troppo poco.
Le fasciatura che gli copriva l'occhio destro gli prudeva molto, era davvero fastidiosa.
Sospirò, aprendo il libro di astronomia.
Ce l'avrebbe messa tutta, avrebbe realizzato il sogno di colui che non ce l'aveva fatta; un sogno che, inevitabilmente, era diventato anche il proprio.

( . . . )

Povero, povero piccolo Nelson.
Il torcicollo è proprio fastidioso.
E non fare quella faccia, Cesare.
Non ti sembra ingiusto che sia stato solo lui a soffrire?
Torcicollo, torci... collo.
HAHAHAhahaHAHAhaha

Fu come guardarsi allo specchio.
Aveva iniziato a fare ancora più freddo.
« Ti prego... no » aveva mormorato Cesare e, al contempo, l'altro sé singhiozzava, ripetendo quella stessa frase pronunciata dall'omonimo che mai avrebbe incontrato veramente.
Era solo un fantasma.
« No, ti prego, no!
Lasciami in pace. Via dalla mia testa, cazzo! »
Come per magia, dall'ombra oscura dietro alle sue spalle, prese forma un'alta figura incappucciata.
Chi se non Dario?

Ti do una mano io, ok?

Seduto sul pavimento, sentì la mano di Dario sulla sua, rendendo la morsa su quel coltello ancora più salda.
La lama liscia dell'utensile venne poggiata verticalmente sulla guancia destra, cosicché potesse sentire quanto fosse fredda.
Dario ebbe un piacevole brivido sulla schiena e, contemporaneamente, pure Cesare provò lo stesso.
Doveva uscire dalla sua testa.
Doveva, doveva, doveva, doveva.
Doveva, porca puttana. Doveva uscire.
Stava impazzendo.
Il respiro si era fatto più affannoso, non riusciva a smettere di deglutire.
La vista di quel coltello così vicino al proprio viso lo stava facendo...
« Bast... basta... »
Un'erezione.
Aveva cominciato a piangere come un bambino.

Mi dici basta ma vedo che la cosa non ti dispiace, huh?
Sporco
pervertito.

In un gesto fulmineo, la punta del coltello fu vicinissimo alla pupilla dell'occhio di Cesare: quel castano era davvero bellissimo, visto da quella prospettiva si vedevano persino quelle piccole vene rossastre accentuare di più il loro colore.
Gli occhi di Dario erano così neri da non poter capire bene la sua espressione ma se avesse avuto uno sguardo normale probabilmente lo avrebbe buttato all'indietro per quanto quella situazione gli procurasse piacere.
Di conseguenza, la testa di Cesare era diventata un subbuglio di macabra perversione.

Che schifo.
Ti piace masturbarti sui cadaveri,
C e s a r e C a n t e l l i ?

Dall'angolo destro del labbro di Cesare, come successe con suo cugino, iniziò a colare inchiostro.
Poi il rumore di carne da macello che viene schiantata sul tavolo già intriso del sangue di altri animali morti; solo che si trattava del coltello ficcato senza controllo su quel bulbo oculare, ormai sfracellato.
Sangue. Sanguinava tutto.
Dario sorreggeva Cesare per la testa.
Girava il manico in modo circolare, mentre l'altro mugolava dal dolore, sempre più forte e in maniera incontrollata.

Vuoi svegliare tutti, principessa?

Cesare poggiò una mano su quella di Dario, cercando di estrarre la lama dal suo occhio.
Bruciava. Bruciava tutto.
« Scusami, Nelson... dio, scusami! »

L'altro Cesare rimase immobile, sentiva tutto ovattato.
Poi si girò, correndo via su per le scale della cantina, cercando di tornare in cucina e poi varcare quel corridoio totalmente bianco.

« Aspettate un minuto! » Nelson li aveva fermati, prima che si allontanassero dal taxi giallo:
« Ricordate,
tra un'ora, ritroviamoci tutti al taxi.
Sul bracciale ho installato un GPS, il quale vi porterà qui senza problemi, l'ho già testato io qualche giorno fa.
A dopo! »
Non appena egli esclamò quella frase, i portelloni gialli della vettura si chiusero e sugli schermi di tutti i braccialetti si attivò un conto alla rovescia di un'ora.

Cinque minuti.
Cinque...
Riuscì a raggiungere la cucina, ma quando arrivò alla porta, questa non si aprì.
Il pavimento si allagò di nero: inchiostro.
Sempre e solo inchiostro.
Cesare cercò di buttare giù l'anta a spallate ma fu tutto inutile — nemmeno la sua superforza sembrò funzionare.
Iniziò a piangere, mettendosi con le spalle alla porta e scivolando sul pavimento, macchiandosi le mani, i vestiti, sentendo quel liquido oscuro persino nelle viscere.
Quattro...
Tre...
« Che cosa hai in mente? »
Mormorò con un fil di voce, riferendosi al cugino, mentre lo sguardo iniziava a spegnersi, esso rivolto verso il soffitto; l'occhio destro che iniziava ad oscurarsi.
Due...
Uno...

OBSCURIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora