Il sottosuolo della Valle

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Quando Francesco aprì gli occhi, sentì subito un enorme caos attorno a sé.
Rumore di vetri rotti, poi il tocco di qualcuno che lo prendeva di peso e lo sollevava, caricandoselo sulle spalle.
Il suono dell'allarme era davvero assordante, ma di botto il biondo non udì più nulla.
Svenne.

( . . . )

Rumore di navicelle volanti che fluttuavano sull'enorme parete rocciosa che faceva da cielo senza stelle, una metropoli sotterranea, che pian piano era diventata una seconda casa per gli abitanti della Valle Spaziale.
Un posto triste, tetro, senza speranza.
La visuale scese su quella che sembrava una normalissima casa, con finestre e porte in legno.
Gli abitanti della Valle avevano pensato a tutto, secoli addietro, costruendo una metropoli sotterranea che sarebbe servita se un'eventuale catastrofe si fosse imbattuta sul loro pianeta... e sfortunatamente, così era stato.
Quando Francesco aprì nuovamente i suoi occhi, il suo sguardo era contornato dai colori dell'arcobaleno in due iridi trasparenti e bellissime; due puri e lucidissimi diamanti.
La sua schiena era confortata da un morbido materasso, al che egli pensò di essere ritornato sano e salvo a casa sua, nel suo letto, in quell'universo in cui i suoi genitori erano ancora separati. E non quella specie di pantomima che aveva vissuto in quegli ultimi giorni, a parte per la sua adorata e cara sorellina.
Ad un tratto, sentì come se delle zampe di una gallina gli stringessero lo stomaco, subito dopo un grosso becco sulla sua faccia: era una creatura stramba, un uccello dalle piume verde-acqua e il becco fucsia. Aveva un solo, enorme e grande occhio nero, perciò nonostante Francesco si fosse alzato di soprassalto e avesse iniziato a respirare male per la paura improvvisa, facendo cadere anche l'animale sul pavimento... quando quest'ultimo gli si avvicinò e lo guardò con quel suo enorme occhione scuro, il suo cuore si sciolse e si chinò per accarezzargli il capo.
« Il suo nome è Trollo » aveva detto una figura, questa appoggiata con le spalle al bordo della porta, le braccia conserte
« penso tu gli stia simpatico. »
Francesco sgranò gli occhi.
Cesare?
No, non era il suo amico Cesare.
Quella persona che aveva di fronte indossava una tuta attillata bianca, blu e un mantello cobalto sulle spalle.
Doveva essere semplicemente un Cesare proveniente da un altro universo, non sapeva nemmeno se il Francesco di quel posto lo avesse mai effettivamente incontrato. Fatto stava che vedere nuovamente quella cicatrice sotto e sopra l'occhio destro dell'altro, gli aveva fatto mancare l'aria per un attimo.
Trollo saltellò dietro le gambe del biondo, non appena vide l'altro avvicinarsi e fermarsi proprio di fronte a Francesco.
« La farò breve:
abbiamo progettato la tua fuga per un anno intero, poiché sei stato sotto esperimenti fisici e mentali perché un essere oscuro voleva ricreare in tutto e per tutto il te di questo universo, per poterlo così usare contro di noi.
Perciò, dobbiamo prima di tutto capire bene cosa c'è effettivamente di diverso in te,
a parte, presumo, gli occhi. »
« E questo essere oscuro sarebbe? »
« Porca troia...
non ti ricordi niente, vero? »
« Dario? »
« Il suo nome alieno è Dean,
e in questo universo è mio fratello. »
Cesare, o meglio, Bran — così aveva detto di chiamarsi — era un tipo burbero e scontroso, Francesco desiderò più volte prenderlo a pugni in faccia.
Comunque, gli disse che non era solo il fratello di Dean, ma anche di Nha, Nulso, Frast ed infine Thröll, che poi altro non erano che i nomi alieni che rappresentavano gli omonimi di tutti i suoi amici, ma anche di se stesso.
« Smettila di fare il rozzo, Bran.
Francesco è nostro ospite, dopotutto. »
Fece la sua apparizione un ragazzo bassino, dai capelli corvini e scompigliati.
I suoi occhi erano completamente bianchi — senza iride, né pupilla — ed in una sua spalla vi era seduto un esserino color corallo vestito di giallo: sembrava essere uscito direttamente da un cartone animato, poiché possedeva anche due occhietti neri e furbetti.
Il giovane era vestito con una tuta attillata bianca e verde, il lungo mantello anch'esso di quel colore.
« Mio fratello ti ha parlato di me e di tutti gli altri, immagino.
Io sono Nha... e lui è Naspo, il mio famiglio.
Vedo che hai già fatto amicizia con Trollo,
sono molto contento.
Da quando abbiamo perso le tracce di Thröll e gli altri a stento mangia qualcosa.
È un tipo semplice, ma con la scomparsa del suo protetto è diventato davvero molto triste. »
Trollo fece un lungo salto e si andò a posizionare sopra alla testa bionda di Francesco.
Nicolas sorrise: forse, dopo tanto tempo, sarebbero giunte presto delle buone notizie.
D'improvviso, il pavimento cominciò a tremare, ed ecco che da fuori la finestra si vide la figura rocciosa di Crusco, il famiglio di Bran, che faceva segno a tutti di uscire fuori.
Così fu, in men che non si dica innanzi ai loro occhi si mostrarono le figure di Nelson, Cesare e Frank.
Francesco corse loro incontro.
« Ragazzi, siete... siete proprio voi? »
« E chi altri dovremmo essere, razza di deficiente?! » fece Cesare, cercando di trattenere il magone.
« Siamo... LIBERI! » esclamò Nelson, e poi ci fu un grande abbraccio di gruppo.
Frank fece per allontanarsi, ma nulla poté evitare che anche lui fosse stretto in quell'affettuosa morsa.
Thröll li aveva salvati e li aveva condotti sino a là, la Valle Spaziale — sebbene si trattasse solo del sottosuolo.
« Ma Nicolas? » chiese Nelson.
« Non preoccupatevi! » si udì una piccola vocina provenire da sopra la spalla di Nha
« il vostro amico sta ancora riposando.
Il suo corpo era già privo di sensi, quando l'abbiamo trovato. E sono stato proprio io a farlo! »
Nelson e gli altri si guardarono fra loro, e poi insieme esclamarono un tenero:
« Adorabile...! »
Tutti, tranne Frank, il quale accennò soltanto un piccolo sorriso, che cercò però di nascondere subito dopo.
Finalmente erano nuovamente tutti insieme.
Anche Trollo aveva iniziato a fare le feste al suo amico Thröll, finalmente ritornato a casa.
Ora mancava solo capire che fine avessero fatto Nulso e Frast.
Francesco e i suoi amici, tuttavia, sentirono del gelo pungente per tutta la schiena.

( . . . )

Due ombre oscure uguali in tutto e per tutto a Dario: una l'Incubo, l'altra... un secondo Incubo. Per distinguerli: l'Incubo e l'illusione, poiché proprio quest'ultima figura parve davvero dissolversi nel nulla, come se non fosse in realtà mai nata, mai esistita. E così era.
Andata via, forse per non far sentire in solitudine quell'orecchio che era stato mozzato come quell'inconpreso di Vincent Van Gogh.
L'Incubo non si inchinò, né si prostrò ai piedi del sovrano, se ne restava immobile con le mani ficcate all'interno della sua felpa.
Innanzi ai suoi piedi, due mantelli:
uno giallo e uno rosso, appartenenti a due figure legate, abbracciate ancora dal sadico e maledetto signor Morfeo.

OBSCURIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora