14.

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Il ritorno a casa fu lungo e silenzioso, nessuno dei due disse più mezza parola. Ma la sua frase mi continuava a frullare per la testa "A volte è meglio far credere la gente di essere esattamente come ti immagina", cosa voleva dire? Era così misterioso avrei voluto chiedere cosa intendesse, chiedergli di tutte le ragazze della scuola, delle voci da corridoio, di suo padre, di sua madre. Avrei voluto chiedergli il mondo, ma non appena aprivo bocca la voce mi moriva in gola, rifiutandosi di uscire. Ero come bloccata, non riuscivo a pensare correttamente.

Dopo circa un quarto d'ora arrivammo a casa; lui si accostò dinanzi il mio cancello, spegnendo il motore e girandosi a guardarmi, cercando di leggere le emozioni che mi passavano dentro. I suoi occhi verdi erano puntati nei miei, catturandomi in una trappola da cui non sarei riuscita ad uscire facilmente, inchiodandomi e ipnotizzandomi quasi, mandandomi in una sorta di trance.

Restammo così per quello che mi sembrò un'eternità, fin quando il suo viso non iniziò ad avvicinarsi lentamente al mio, i suoi occhi in cerca di una qualche reazione da parte mia. Io restai impalata sul mio sedile, incapace di reagire. Si passò la lingua sulle labbra screpolate, mentre continuava ad avanzare con il busto, fino a sfiorare il mio naso. Una parte di me voleva annullare quella distanza ma l'altra, quella sensata, pensava a Dave. Non appena le nostre labbra stavano per sfiorarsi, il mio telefono iniziò a squillare insistentemente, rompendo quell'atmosfera che si stava piano piano creando. Stef si tirò indietro immediatamente, schiarendosi la gola e passandosi una mano sui capelli, lasciandomi ancora intontita per quello che stava per accadere. Che poi cosa stava per accadere?

"Uhm... forse dovresti rispondere"

La sua voce arrivò come un macigno, risvegliandomi

"C-come?"

Lui mi guardò con un sopracciglio alzato, facendo un cenno con il mento verso la mia borsetta

"Il telefono"

"Uh, s-sì"

Sussurrai, afferrando la borsetta con mani tremanti e aprendola, cercando il cellulare. Il nome di Dave lampeggiava sullo schermo, come se avesse saputo quello che stava per accadere e mi avesse voluto interrompere prima che fosse stato troppo tardi. Accettai la chiamata, portandomi il telefono all'orecchio e schiarendomi la voce

"D-dave?"

Tentennai, dicendo il suo nome, notando le nocche di Stef farsi bianche e i suoi pugni serrarsi sul volante, la sua mascella indurirsi. Spostò lo sguardo da me, per fissare avanti a lui, come se io non fossi accanto a lui

"Sophie!!! Dove cazzo sei?! Tuo padre mi ha detto che sei andata ad una festa! Ti sto venendo a prendere!!! Non ti muovere!"

Le sue urla dall'altro capo del telefono mi fecero allontanare il telefono dall'orecchio

"N-non c'è bisogno... sono-"

Prima che potessi terminare la frase, il mio cancello si spalancò mostrando un Dave trafelato che correva. I capelli scompigliati e la camicia sbottonata e sgualcita. Era la prima volta che lo vedevo così scomposto e in disordine.

Non appena vide la macchina si fermò di colpo, abbassando il telefono che aveva ancora all'orecchio e avvicinandosi. Il suo sguardo tra l'arrabbiato e l'incredulo.

Io velocemente mi slacciai la cintura, spalancando lo sportello

"Dave... che- che ci fai qui?"

Cercai di riordinare i pensieri, componendomi e abbassando il vestito che nel frattempo era salito lasciando scoperta quasi tutta la coscia. Il suo sguardo si indurì non appena vide come ero vestita e poté solo peggiorare quando vide chi era alla guida della vettura.

Love is a strange thingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora