Yemen

67 4 6
                                    

Vivere è diverso dal sopravvivere.

In particolar modo se in luoghi corrotti e devastati da una guerra civile come lo Yemen, in cui vigeva la sciagura del 'posto sbagliato al momento sbagliato'.

Buona parte del piccolo paese di Sana'a, o di quel che ne restava, era sotto il controllo dell'ISIL: una violenta ed estremista organizzazione terroristica che avanzava come uno sciame di locuste, il cui principale intento era di liberare il loro leader, Abu Ramal, catturato dal governo e detenuto nella prigione di Ogygia da cinque anni, insieme a Kaniel Outis, suo fedele alleato.

La maggior parte della gente temeva l'arrivo a compimento della minaccia dell'orda inferocita di radere al suolo l'intero paese; la minoranza, quella detenuta dietro le sbarre, la coglieva, invece, come l'occasione per poter finalmente fuggire, incoscienti, o semplicemente accecate dal desiderio di poter toccare con mano la libertà, di andare incontro ad un destino inevitabile.

Nonostante regnasse uno strano silenzio nei corridoi, quest'ultimo era spezzato solamente dalle esplosioni delle mine esterne e da un sonoro sbuffo proveniente da una brandina, in una delle numerose celle della prigione: un ragazzo continuava a rigirare nella mano destra un taglierino affilato e circondato da del nastro isolante sul manico, alternando talvolta lo sguardo verso la branda sopra di lui.

L'attesa stava diventando talmente straziante, quasi da indurlo a conficcarsi la lama in un braccio e contare le gocce di sangue che ne sarebbero uscite.

Un uomo, sdraiato sul rispettivo giaciglio e con il viso rivolto verso lo scorticato e marcio del basso soffitto, contemplava la piccola immagine tatuata sul proprio braccio destro, sfiorandola contemporaneamente con le dita della mano sinistra; spostò successivamente la propria attenzione su altri due detenuti nella stessa cella, il cui sguardo del primo era perso in un punto lontano, mentre il secondo su una mattonella del muro adiacente.

Emise un respiro profondo prima che il richiamo di una guardia costrinse quasi tutti i presenti a sollevarsi con il busto, catturati da un senso di difesa personale; il secondino pronunciò alcune parole in arabo, mentre con la chiave apriva la porta della cella, fissò in seguito il detenuto sulla branda superiore, inducendolo a seguirlo.

La sala delle visite era zeppa di persone, come un branco di ratti attorno ad un pezzo di formaggio andato a male, in una pozza d'acqua stagna; l'odore di chiuso si infilava nelle narici, simile ad aria tossica ed il caldo non aiutava affatto.

L'espressione del visitatore, al di là delle sbarre, divenne una statua di cera di fronte a quella visione, quando il detenuto raggiunse la rete di ferro, appoggiando entrambe le mani su di essa, lasciando appena in vista i nuovi ed altrettanto enigmatici tatuaggi che gli ricoprivano le mani e le braccia.

"Mio dio..." la voce di Lincoln era fievole ed allo stesso tempo sollevata, nel rivedere il viso del fratello che aveva ritenuto morto per sette lunghi anni: lui era stata la sua guida e la sua mancanza, in quel lasso di tempo, aveva inciso molto sulla vita precaria in cui era ricaduto.

Il più robusto si passò una mano sulla testa rasata e sudata, chiedendo a Benjamin se stesse riprendendo tutto.

"Michael, mio dio, sei tu... hai nuovi tatuaggi, cosa vuoi fare? Per favore, dimmi qualcosa" Burrows si avvicinò il più che potesse alla cancellata "Hai trovato il ragazzo? Michael, gliel'ho promesso. Troveremo un modo per andarcene!" sussurrò; ma il suo interlocutore inclinò la testa verso destra, non tradendo l'espressione fredda e indecifrabile che aveva dipinta in faccia.

"Io non ho mai avuto tatuaggi oltre a questo, e oltretutto non mi chiamo Michael. Mi dispiace, ma non so chi tu sia, né di cosa stai parlando" lasciando di stucco i due all'esterno, il detenuto chiese alle guardie di essere scortato nuovamente nella cella, ignorando gli insistenti richiami "Io non vi conosco affatto e sinceramente non ho nient'altro da dire. Se non vi dispiace, torno nella mia cella"

Il maggiore per poco non perse la mascella a terra, si aggrappò alla rete metallica, senza perdere di vista il più giovane "Michael! Michael! Michael, ti prego! Che stai facendo! Michael!"

C-Note posò una mano sulla spalla dell'ex compagno di fuga, cercando di confortarlo "Lincoln..."

"Non abbiamo concluso niente. Perché ha detto di non conoscerci? Quello era mio fratello!"

"Questo adesso non è il posto giusto per parlare, andiamo"

"Non ho potuto nemmeno..."

"Dispiace molto anche a me, ma ci hanno detto chiaramente che non c'è nessuno, qui, che corrisponda al nome di David Martin, e non avendo una descrizione dettagliata del ragazzo, non possiamo fare nulla"

Il fratello di Michael spostò lo sguardo a terra: la sua prestanza fisica, il suo carattere duro e testardo, non furono sufficienti a non fargli tremare la mano nel prendere la videocamera.

"Mi dispiace, Kelly... perdonami... perdonami, non ho potuto mantenere la promessa" pronunciò in sottovoce, con la coscienza a pezzi per la promessa infranta.

***

"Menomale che sei tornato. Qui la situazione va di male in peggio" esclamò animatamente un terzo detenuto dai tratti orientali nel veder tornare il compagno di cella, sciogliendo le gambe incrociate; venne, però, totalmente ignorato, perché l'attenzione del detenuto venne attirata dal più giovane di loro che alzatosi gli andò incontro, fermandosi subito dopo e corrugando la fronte.

"Dalla faccia che hai, direi che la tua non è stata una visita di cortesia"

Il suo interlocutore sospirò, facendogli capire che non era il momento adatto per le spiegazioni; tuttavia, ciò non bastò all'altro per farlo demordere: si conoscevano da abbastanza tempo da permettere l'un l'altro di capire i rispettivi pensieri.

"Mi pare di capire che non ti va di parlarne...non offenderti se te lo dico, bello, ma non è la prima volta che ti comporti in modo strano"

"Semplicemente non possiamo permetterci complicazioni adesso, Whip. Dobbiamo pensare al nostro piano per uscire di qui, prima che sia l'ISIL a trovarci!" sbottò fermamente, Michael, stringendo i denti ed appoggiando la fronte contro il braccio destro, a sua volta attaccato alle sbarre della cella, osservando apparentemente distratto il corridoio.

***

Verso l'ora tarda della sera, Scofield, con l'aiuto di Whip e del taglierino che si erano procurati, aprì il passaggio attraverso un condotto dell'aria sopra la loro testa.

Il detenuto orientale li fissò entrambi, esterrefatto, risaltando l'accento della sua madrelingua "Volete davvero scappare e lasciarci qui? L'ISIL non ci metterà molto a radere al suolo tutta Sana'a"

"Lo hai ripetuto un milione di volte, Sid, sembri un disco rotto. Controllate che non arrivi nessuno" sentenziò Michael, prima di infilarsi nel piccolo spazio insieme a Whip; i due raggiunsero velocemente una parte del tetto della prigione e si nascosero dietro un basso muretto: i bagliori dovuti ai fumogeni e alle bombe della guerra, oltre ai fari dei lampioni, illuminavano gradualmente il cielo di Sana'a.

Ciò rappresentava un enorme ostacolo per la fuga.

"Abbiamo trascorso sette notti di fila ad aspettare il segnale per poter scappare. Invece siamo ancora bloccati in questa topaia e se le luci non si spengono non ci metteranno molto a scoprirci e a farci fuori" sussurrò, seccato, il ragazzo, alternando occhiate al compagno di prigionia ed al panorama semi buio che offriva l'altezza a cui si trovavano.

"Dobbiamo avere fede. È ciò che abbiamo sempre fatto per tutto questo tempo, Whip, e ce la faremo ancora. Ma se le luci non si spengono possiamo solo tornare indietro, per il momento"

"Possiamo provare a correre"

"È un totale suicidio! Ci sparerebbero ancora prima di arrivare dall'altra parte"

"Forse hai ragione, ma dovevamo farcela entro una settimana. Da quando quel figlio di buona madre di Poseidone ci ha lasciati qui a morire, siamo nella merda, e non ho alcuna intenzione di attendere altri quattro anni per salvarmi la pelle!"

Michael si voltò verso il più giovane, comprendendo e infondo condividendo il suo punto di vista, dimostrandolo appoggiandogli una mano sulla spalla "Non è tutto perduto, amico mio: abbiamo ancora una carta da giocare a nostro favore. Non avrei voluto arrivare a tanto, ma non abbiamo altra scelta se vogliamo andarcene"

How You Remind Me "Prison Break"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora