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Silenzio. Non vola una mosca nella stanza dell'adolescente. Quel silenzio è così assordante e fastidioso che riuscirebbe a far impazzire anche una persona mentalmente stabile. Forse l'unica cosa che è possibile udire è il respiro rilassato del ragazzo, ma bisognerebbe avere un'eccellente udito per sentirlo. Finalmente quella quiete viene interrotta dal rumore della maniglia della porta. Click. Nella buia stanza entra un fascio di luce che arriva dalla finestra del corridoio e una figura nera si appropinqua al letto dove giace, addormentato, il nostro protagonista.

-Yuu... svegliati, Yuu: è mattina!

Commenta Urara scuotendo dolcemente il figlio. È proprio vero: anche se crescono c'è sempre bisogno della mamma, anche per le azioni più stupide, come quella del svegliarsi la mattina.

-Tesoro, alzati. Rischi di perdere il treno e di fare tardi a scuola.

Continua a dirgli nel mentre che gli toglie le coperte di dosso. Yuu però non è stupido: prende il cuscino tra le mani e se lo mette sopra la testa - il tutto a occhi chiusi.

-Ti prego, Yuu, sai che ho bisogno che tu sia collaborativo- dice la povera madre poggiando la mano calda sulla schiena del figlio e iniziando a disegnare con essa dei piccoli cerchi -sai che non posso farcela se tu non mi aiuti, quindi, amore, te lo chiedo per favore- continua lei mentre gli accarezza la schiena- tirati su e vai a prepararti, altrimenti perdi il treno e a scuola non ci arrivi.

Lo implora con quel tono calmo e dolce che aveva sempre avuto.
Urara staquasi per gettare la spugna quando vede il figlio togliersi il cuscino dalla testa e stropicciarsi gli occhi.

-Che ore sono?

Chiede Yuu con la voce ancora impastata nel sonno e gli occhi che fanno fatica ad aprirsi.

-Le 6.10; e il treno parte alle 7 se ti ricordi.

Gli risponde la madre, alla quale spunta sul viso un piccolo sorriso per la visione del figlio. Sembra ieri che lo doveva aiutare a vestirsi e a preparare la borsa per andare a scuola, ora, invece, è diventato indipendente e sta per passare la sua prima settimana di scuola in un istituto che gli dà la possibilità di restare a dormire lì per la notte, così da non diversi alzare sempre alle 6 del mattino per prendere il treno.

La scena è davvero tenera: lui è ancora sdraiato con tutti i capelli scompigliati, senza gel, e ancora stordito dal sonno, che cerca il viso della madre con quei sue due bellissimi - e stanchi -  occhi castani, che nel mentre si sono aperti. Urara se li ricorda bene quegli occhi: erano gli stessi occhi del padre, la prima cosa che aveva notato appena si erano conosciuti. Due splendidi occhi castani, con qualche leggera sfumatura dorata, che catturarono immediatamente l'attenzione di quella giovane Urara innamorata.
Gli poggia una mano sulla guancia e gliel'accarezza dolcemente come invito ad alzarsi.

-Tuo nonno mi ha detto di avvisarti che è già andato alla stazione per comprarti l'abbonamento annuale al treno: ti sta aspettando lì per accompagnarti a scuola, quindi sbrigati.

-Va bene, mamma.

Commenta il ragazzo alzandosi da letto e dirigendosi verso il bagno.

-Rarisa è ancora addormentata, quindi cerca di fare il più piano possibile, ci siamo intesi?

Lui alza la mano in segno di approvazione e chiude la porta.
Dopo aver finito di farsi la doccia e di essersi messo il gel nei capelli, esce dal bagno in punta di piedi e, passando davanti all'unica porta bianca della casa, aperta, getta un occhio al suo interno. Dorme ancora. Lui sorride, accosta silenziosamente la porta e scende le scale, dirigendosi verso la cucina, dove lo aspetta la sua colazione.

Passano circa dieci minuti e il ragazzo si è ormai vestito, ha preparato la borsa sia per scuola che per gli indumenti ed è pronto ad uscire per incontrarsi con il nonno.

-Sta ancora dormendo? Quando sono passato davanti alla sua stanza sembrava che fosse ancora nel mondo dei sogni.

-Si, glielo avevo detto che non sarebbe riuscita a salutarti oggi.

-Guarda il lato positivo: venerdì sera, se non ci sono imprevisti o ritardi da parte del treno, sono a casa- dice aggiungendo un piccolo sorriso alla fine della frase -Salutala da parte mia e ricordale che le voglio bene.

Sta per varcare l'uscita quando la madre lo abbraccia di scatto stringendolo a se

-Sedici anni... devi davvero compiere sedici anni a ottobre. Sembra ieri che ti dovevo leggere la favola della buonanotte per farti addormentare - anche se non ti sei mai addormentato quando lo facevo - ma ora guardati: sei un ragazzo grande, ecco tu sei... il mio...

-Ti prego, mamma, non dirlo: fammi questo favore.

-Il mio piccolo pulcino di un metro e cinquantanove, anzi: ora sei il mio uomo di un metro e cinquantanove.

-Mamma! Eh dai, insomma! Lo hai detto anche tu poco tempo fa: ho quasi sedici anni, non sei!

-Che tu ne abbia sedici o trenta non importa: quando diventerai padre capirai che i tuoi figli saranno sempre i tuoi pulcini o le tue scimmiette, indipendentemente dalla loro età e dal fatto che odiano sentirselo dire. Fai un buon viaggio e chiama appena hai un minuto libero, va bene? Ti voglio bene.

Dopo aver detto ciò Urara lascia andare il figlio e lo saluta. Lui chiude il portone d'ingresso entrando in quella semi oscurità che avvolge il vialetto di casa sua. Lo percorre e imbocca la strada principale, ancora deserta, con qualche lampione ancora acceso che facilita la vista; nonostante sia aprile c'è ancora fresco di mattina presto e, talvolta, è possibile anche vedere come il respiro caldo a contatto col freddo formi quelle famose nuvolette. Da piccolo lui e i suoi due amici d'infanzia si divertivano sempre a fingere di fumare quando si verificava questo, e si prendeva in giro a vicenda, ridendo e scherzando in quel modo così puro e genuino che solo i bambini hanno.

Yuu Nishinoya -sedici anni il 10 Ottobre, mingherlino, alto centocinquantanove centimetri, amante della pallavolo ed eccellente libero, capelli castano-scuro e occhi castani- si dirige verso la stazione per incominciare il suo nuovo anno scolastico al liceo Karasuno, il colosso decaduto di Sendai.

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