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-Perché stai preparando la borsa ora?
Chiede Rarisa vedendo il fratello trafficare da una parte all'altra della stanza.
-Perché devo partire subito dopo pranzo per non dovermi svegliare domani mattina alle 6 come ho fatto questa settimana.
Rarisa è preoccupata. È vero che la febbre gli è scesa a 36.5, ma non vuole che parta: non è una questione di egoismo, ha soltanto paura che possa stare male in treno e non arrivare a destinazione.
-Ma ti sei appena ripreso dall'influenza e da due giorni di febbre, sei davvero sicuro di voler ritornare subito a scuola? Poi hai detto che devi tornare in treno...
-Se mi sento male ti prometto di chiamarti e di fartelo sapere- la consola mettendole una mano sulla spalla -ti prego, scimmietta: almeno tu abbi un po di fiducia in me, dato che gli altri non me ne danno più di un certo tanto.
-Ma io mi fido di te, però- dice con voce rotta -io non voglio che tu vada via e che ti succeda qualcosa di brutto: magari ti senti male e non riesci a scendere alla giusta fermata e ti ritrovi in un altra città che non conosci.
Dice la bambina scoppiando in pianto e abbracciando il fratello. Potrebbe decidere di dirle che era solo una stupida influenza e che non doveva preoccuparsi troppo per lui, perchè, tanto, alla fine, se la sarebbe cavata comunque, ma non ce la fa a essere realista, o almeno, non ce la fa a essere realista e duro con lei, il suo piccolo angioletto, la sua scimmietta, la sua tanto adorata e desoderata sorellina. La consola coccolandola un po e rassicurandola.
-Mi vuoi aiutare a fare la borsa? Così ti insegno qualcosa di nuovo e passiamo queste ultime ore insieme- dice accarezzandole la guancia con un dito e asciugandole le lacrime -Però scimmietta devi farmi almeno un sorriso, perché altrimenti se parto pensando al fatto di averti fatto star male mi sentirò un mostro più brutto del mostro dei sogni.
Lei lo guarda divertita e gli dedica il sorriso più grande che poteva fargli: un sorrisone a, quasi, trentadue denti da immortalare in una fotografia. Prende la macchina fotografica e le scatta una foto.
-Ora la stampiamo, così abbiamo un bel ricordo di te e io potrò portarti con me per ricordarmi che ci sarai sempre. 

Vanno nello studio del nonno e Yuu manda in stampa la foto. Tobio era un fotografo professionista prima di andare in pensione, e quindi molte delle foto che c'erano in casa erano state fatte da lui: tutte le foto di Yuu erano state fatte da lui.
Mi devi portare il ricordo più bello e felice che hai della tua infanzia. Si ricorda solo ora del compito che gli aveva dato da fare il professore per casa, ma si trova nel posto giusto e sa già cosa portargli; ci sono due foto nello studio che rappresentano una Yuu il giorno del suo secondo compleanno che si dondola sull'altalena del parco e che sorride, l'altra, invece, risale a qualche giorno dopo la nascita di Rarisa e raffigura Yuu che guarda ,quasi come un innamorato, la sorellina addormentata nella culla. Prende le due foto, poste su uno scaffale della libreria dello studio e le guarda: talvolta un immagine non riesce sempre a catturare al suo interno tutte l'emozioni provate in quel preciso istante in cui la fotocamera ha scattato. La bambina lo guarda confusa.
-Qui era il giorno del mio secondo compleanno: nonostante fosse ottobre c'era molto freddo e mi avevano coperto dalla testa ai piedi. Mi ricordo soltanto che volevo dondolarmi sull'altalena tutto il giorno e mamma e papà non riuscivano a portarmi via dal parco giochi.
-La mamma dice che quella è la foto più bella che ha di te. Dice anche che non hai mai più avuto un sorriso più bello e raggiante di questo qui nella foto, che qui eri davvero contento, al settimo cielo. Non hai più sorriso così tanto neanche nelle foto dove giochi a pallavolo.
-Sai, piccola, alcune volte, nella vita di una persona, si verificano eventi che ti possono addirittura far cambiare drasticamente e che ti fanno stare così male da non farti più sorridere tranquillamente- dice con fare amareggiato e triste -Questa è una di quelle foto.
Meno ci pensa e meglio sta con sé stesso.
-Questa invece sono io!
Dice indicando l'altra foto.
-Sì, se non ricordo male era il 17 giugno, qualche giorno dopo la tua nascita e ti avevano appena portato a casa dall'ospedale e io e il nonno vi stavamo aspettando per la cena.
-Perché mi guardi così nella foto?
-Perché, fin da quando ero un bambino, ho sempre voluto avere una sorella piccola o un fratellino.
Le dice dandole un bacio sulla guancia.
-Ti voglio davvero tanto bene, fratellone.
Quella parola. È inutile: gli scioglie il cuore ogni volta che la pronuncia e lo fa sentire davvero tanto speciale. Sente di essere importante almeno per lei, quella piccola pesa alta poco più di un metro e venti, dagli occhi castani e i capelli dello stesso colore, corti, raccolti in una piccola mezza coda alla sua sinistra.
-Ragazzi venite! È pronto!
Rarisa si dirige verso la porta strattonandolo e riesce a farlo muovere.

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