20. Hospital.

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Un mese.

Un mese che lei, la mia ragione di vita, è stesa su quel lettino d'ospedale senza potersi muovere o svegliare.

Ed io non so davvero più cosa fare.

Cammino per i corridoi dell'ospedale prima di incontrare sempre il solito infermiere, davanti alla stanza dove sta rinchiusa da ormai trenta giorni, la quale è diventata la sua prigione, il luogo in cui lei potrà scegliere se rimanere oppure andarsene per sempre, lasciando così un vuoto incolmabile dentro di me. Non ce la potrei fare, non riuscirei mai a sopportare la sua assoluta assenza.
Ti prego Sarah, svegliati.

« Puoi entrare, se vuoi. »

Mi sorride malinconicamente Brian, con cui ho in pratica fatto amicizia.

Sussuro un flebile 'grazie' prima di aprire la porta della camera e richiuderla una volta dentro.

Dó una breve occhiata al mio volto riflesso sullo specchio attaccato ad' una parete della stanza, notando due profonde occhiaie marchiarmi il viso, prima di voltarmi in direzione della ragazza stesa sul letto.

Come diavolo fa ad essere così bella anche con tutti quegli aghi piantati nel braccio e quella mascherina sul viso?

Trascino una sedia su cui ormai penso sia rimasta l'impronta del mio caro fondoschiena a forza di starci seduto sopra, di fianco al lettino.

« Ehy... »

Le prendo una mano.

*Sarah's POV*

Diró che preferisco essere un... coso, non so cosa, un'ombra nel vero senso della parola, vagante per l'ospedale che stare svenuta su una diamine di barella.

Ormai è un mese che vado in giro senza poter essere vista da nessuno. Vorrei urlare che sono qui con tutti loro, vorrei spiegare una volta per tutte ai medici, ai dottori, agli infermieri che ripetono a mia madre, ad Ash, ai miei amici che se svegliarmi o no dipenderà solo da me è una cazzata, vorrei abbracciarli tutti come non ho mai fatto ma a quanto pare staró ancora qui vagante fuori dal mio corpo o quello che mi è successo per un pó.

All'inizio, quando sono svenuta, pensavo di essere morta.

Cioè, scusatemi, se voi steste camminando ma non vi vedeste riflessi nei vetri, negli specchi, se vi rendeste conto di essere invisibili e notaste "l'altra parte" (quella fisica) del vostro corpo steso a terra in una posizione innaturale, cosa pensereste?

Che siete morti, fine, amen, pace all'anima vostra.

Poi ho sentito i dottori parlare di una commozione cerebrale ed ho capito di essere semplicemente in coma.

Semplicemente.

All'inizio non provavo nessun tipo di sentimento. Nessuno. Poi ho visto Ashton e la mamma piangere, Cal, Luke, Mike, Leti e Lott con lo sguardo perso nel vuoto ed il viso ogni tanto rigato da una lacrima ed ho capito che non è assolutamente possibile rimanere impassibili.

Mi mancano. Ed io manco a loro.

Alzo lo sguardo dal pavimento sentendo Brian, l'infermiere addetto alla mia stanza, parlare,

« Puoi entrare, se vuoi. »

Ash.

Mi sbrigo per entrare prima che la porta si chiuda.

Non sono un fantasma che passa attraverso i muri ma non ho neanche la possibilità di interagire con gli oggetti.

Mentre guarda il suo riflesso allo specchio, mi appoggio alla parete vicino alla quale so per certo non posizionerà la sua sedia.

L'ho imparato.

Vederlo in quelle condizioni mi stringe il cuore. È colpa mia... se non mi fossi trovata lì ma fossi rimasta a letto con lui tutto questo non starebbe accadendo.

« Ehy... »

Sussurra, prendendo la mano alla 'me' stesa sul lettino.

« So che non puoi sentirmi... ma mi manchi fottutamente tanto ed ho un sacco di cose da dirti... perció parleró da solo. »

Le parole gli muoiono in gola, mentre si asciuga una lacrima calda che gli solca il viso.

"Sono qui!" Vorrei urlargli. Ma le mie parole sono solo un soffio di aria impercettibile.

Io sono il nulla.

Mentre Ash parla, qualcuno mi chiama da dietro.

« Ne hai combinate, in questo periodo. »

Mio padre mi appoggia una mano sulla spalla.

« Già. »

Sospiro.

« Come stai oggi? »

Gli domando.

La prima volta che l'ho incontrato, ero "seduta" per terra, era il secondo giorno di ricovero e notare i miei migliori amici distrutti a causa mia, mi spezzava il cuore.

Ho sentito qualcuno che mi chiamava, ed ho riconosciuto la sua voce tra mille.

Era lì, in piedi, un 'coso' come me, con la differenza che lui proprio non avrà mai possibilità di ritornare nel suo corpo.

Ed in quel momento mi sono accorta ancora di più di quanto diamine mi fosse mancato.

« Come vuoi che stia, sono un'ombra. »

Ridacchia.

« Giusto. »

Concordo.

Dopo un pó di silenzio parla ancora.

« Per quanto sia idiota da parte mia ammetterlo, sono felice di averti incontrata. »

« Anche io... dopo tutto. »

Segue un'atmosfera muta, scandita solo dai singhiozzi di Ash.

Ogni singhiozzo per lui, è un colpo subito per me.

« Ti ama tanto, quel ragazzo. »

« Papá, Ashton mi manca da morire... »

Ormai potrebbe essere interpretata come una battuta. E che bruttissima battuta, Cristo santo.

Prima che se ne andasse, ero solita sfogarmi con lui. Sapeva tutto di me.

« È che... se torneró lá, lasceró te e... »

Continuo, ma lui mi interrompe.

« Sarah. »

« Sì? »

Si prepara a parlarmi, proprio come faceva prima di lasciarci.

« Quando ti sveglierai... non ti ricorderai minimamente ció che è successo nell'ultimo mese. »

Oh.

« Se mi sveglieró. »

Constato.

« Ti sveglierai. Hai una lunga vita da mandare avanti... »

Si blocca.

« Ti devo lasciare. »

« Ma... »

E come poco prima è arrivato, ora se ne va.

The only reason | Ashton IrwinDove le storie prendono vita. Scoprilo ora