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Mi trovo su una spiaggia di Bazaruto, l'isola principale dell'omonimo arcipelago, al largo delle coste del Mozambico. Ho addosso un costume a due pezzi, occhiali da sole, un cappello di paglia a tesa larga e un'abbronzatura. Sono seduta su un asciugamano, un altro asciugamano è steso di fianco a me. L'Oceano Indiano si infrange ritmicamente sulla battigia, un filo di vento spettina le foglie del palmeto alle mie spalle, in cielo non c'è una nuvola. La spiaggia è semideserta. Alla mia destra c'è una delle tante coppie di pensionati tedeschi che vengono a svernare in questo posto, a sinistra una delle tante coppie di inglesi che vengono qui in viaggio di nozze, il vento mi porta brandelli di dialogo nelle loro lingue. Le donne sono secche e slavate, gli uomini gonfi di birra, tutti e quattro sono pallidi come latticini.

Mattia esce dall'acqua. Mi abbasso gli occhiali sulla punta del naso per godermi lo spettacolo ad alta definizione, le gocce che scivolano sulla superficie liscia e scura dei pettorali, l'autostrada degli addominali che conduce sotto l'elastico del costume, i quadricipiti che si contraggono e si rilassano ad ogni passo sulla sabbia che lo porta da me. A destra e a sinistra non sento più parlare lingue di ceppo indoeuropeo: la vecchia tedesca e la racchia inglese sono rimaste senza parole, scommetto che stanno facendo paragoni con i loro uomini. Sorrido: vi piacerebbe, ragazze. Quando Mattia si china a baciarmi gli artiglio il culo, giusto perché sia chiaro che è roba mia.

Quella sera ceniamo in un piccolo ristorante vista mare, poco più di un chiosco sulla spiaggia, un posto fuori dagli itinerari turistici noto solo alla gente locale e a Mattia. Siamo ancora in infradito e costumi da bagno, lui si è infilato una maglietta, io ho un pareo avvolto intorno al corpo. Beviamo vino portoghese e mangiamo enormi gamberoni succosi. Ridiamo forte, ci baciamo spesso e non parliamo mai di un futuro oltre la prossima settimana. La Luna è un cerchio perfetto di un bianco perfetto. È tutto perfetto.

Più tardi, nel nostro bungalow, lui mi penetra con la sua sensazionale erezione finché la raffica di orgasmi multipli da trenta contrazioni vaginali l'uno mi lascia felice e semicosciente sul materasso.

Questo è il film che va in onda a ciclo continuo nella mia testa da quando mi sono svegliata, non so che ore fossero ma credo almeno le dieci del mattino. Ad ogni replica la regia si fa più raffinata, l'inquadratura stringe sulla texture della pelle di Mattia imperlata d'acqua, o zooma sulla mia bocca che si apre come un fiore che sboccia. È tutto il giorno che vago per la casa senza combinare nulla. Non ho ancora acceso il computer. Non ho neanche mangiato. Mi sono già masturbata tre volte.

Devo decidere come comportarmi stasera, quando Mattia tornerà dal lavoro. L'istinto mi direbbe di saltargli addosso appena varca la soglia dell'appartamento, ma devo tener presente che lui non sa che io so che lui prova per me la stessa cosa che io provo per lui. Sarà meglio arrivarci per gradi, prepararmi un discorso, non voglio fare la figura della ragazzina arrapata. Un giorno ricorderemo con affetto quella sera in cui tutti e due non desideravamo altro che finire a letto insieme ma prima di arrivarci abbiamo passato due ore a girarci intorno, in un gioco di sottintesi e avvicinamenti reciproci.

Sono le sette in punto. Mentre esco da uno dei bagni mi arriva il rumore della porta di casa che si apre. Scavalco Filippo, che è sdraiato sul pavimento del corridoio da ieri notte, e corro all'ingresso. C'è lui. Indossa jeans chiari, scarpe da tennis, una camicia bianca e ha una giacca blu piegata su un braccio. Sta richiudendo la porta, mi dà le spalle. Mi avvicino e intanto provo a concentrarmi sul discorso che volevo fargli e sulla storia dell'arrivarci per gradi, ma riesco a pensare soltanto che quei jeans gli stanno davvero bene.

Quando sono abbastanza vicina gli piazzo una mano sul culo.

Sento il gluteo tondo e sodo che mi riempie il palmo e resiste alla pressione delle mie dita. Dio, che bella sensazione. Che cazzo di sensazione meravigliosa. È come palpare una sinfonia. Forse non avrei dovuto, forse ho esagerato, ma chi se ne frega? Tanto so che anche lui vuole quello che voglio io, la vita è troppo breve, vaffanculo ai discorsi, passiamo all'azione.

Lui si volta. Mi guarda in modo diverso da come mi aspettavo. Avevo messo in conto che potesse essere stupito, magari piacevolmente stupito, o anche un po' confuso e al limite, sulle prime, pure infastidito dal mio gesto, ma sembra solo triste. Sembra triste e non ho la minima idea del perché.

Mattia dice che è il momento di dirmi quella cosa.

L'amica genitaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora