Capitolo 20

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LYDIA'S POV.

"Lui è me più di me stessa. Di qualunque cosa siano fatte le nostre anime, la sua e la mia sono le stesse."

Emily Jane Bronte.

Come ogni giorno, la sveglia suonò e mi toccò svegliare Julie. Una volta alzate, scendemmo a fare colazione e ci preparammo. Presi in mano la felpa di Daniel, che non avevo avuto il tempo di restituirgli, un paio di jeans skinny e una felpa con cappuccio, fatta a top che lasciava un filo di pancia scoperto. Inutile dire che avevo l'ansia al pensiero di doverlo incontrare. Misi lo zaino in spalla e dopo aver allacciato le converse, lanciai un'occhiata a Julie che era alle prese con il mascara. Io invece avevo evitato di truccami, non ero dell'umore.
<< Sei pronta? >> domandai a Julie. Lei annuì e mi fece un sorrisino.
<< Lo sai che prima o poi dovrai affrontare la situazione, vero ? >> mi domandò alzando le sopracciglia. Sapevo perfettamente che prima o poi l'avrei dovuto fare, che fossi oggi o domani, ma al momento non mi andava di pensarci. <<Non so di cosa tu stia parlando. >> risposi invece.
Lei alzò le mani in segno di resa e appoggiò un braccio sopra la mia spalla.
<< Non sono affari miei, ho afferrato. Andiamo? >> domandò. Annuii e prima di uscire lanciai un ultimo sguardo alla camera e chiusi la porta alle mie spalle, sperando di tornarci il prima possibile.

***

<< Hai deciso di mostrarti? Credevo saresti rimasta in un angolino, per sempre. >> la voce di Daniel era così profonda che dimenticai, per un istante, di star camminando verso il tavolo, dove solitamente si svolgevano le nostre lezioni. Evitai di guardarlo negli occhi e mi sedetti, proprio davanti a lui.
<< Non mi parlerai più? >> domandò con la fronte corrugata. Si era dimenticato di come mi aveva trattata? Bè io no e ad essere onesta non credevo che l'avrei dimenticato così facilmente. Sopratutto dopo che non mi aveva neanche chiesto scusa. Ad essere onesta non credevo neanche che appartenesse al suo vocabolario. Poi, scusa e Daniel, nella stessa frase non stavano per niente bene.
<< Continuiamo da dove eravamo rimasti, Parker, mhh? >>.
<< Devo ammettere che sei proprio matura. Evitarmi fino a questo punto, wow, complimenti. >> posizionò i gomiti sul bordo del tavolo, continuando a fissarmi. Volevo urlargli di non guardarmi, specialmente in quel modo, perché avrebbe scoperto cose che non sapevo spiegare neanche a me stessa. Cose che ad essere onesta, non avevo mai provato. Purtroppo il mio sguardo non mentiva mai.
<< Non ho intenzione di parlare con te. Perciò limitati ad ascoltare ciò che devo spiegarti. Se riesci a stare in silenzio mi fai un gran piacere.>> annunciai, con il tono di voce monocorde. Sussultò leggermente quando puntai lo sguardo nei suoi occhi profondi e tenebrosi. Aprii il libro e iniziai a parlare di Emily Bronte, colei che aveva scritto una delle mie opere preferite.
Cime Tempestose, naturalmente.
<< Non gli dirò quanto lo amo, e non perché sia attraente, ma perché è per me più di quanto lo sia io stessa. >> citai, continuando a leggere il libro. I suoi occhi, cambiarono espressione, nel momento in cui parlai di Catherine. Il mio sguardo cadde involontariamente sulle sue labbra carnose, che aspettavano di essere profanate. Mi schiarii la voce e chiusi il libro.
<< Per oggi è tutto, ci vediamo domani al solito orario. >>
Raccattai tutti i libri presenti sul tavolo, con fretta e sotto il suo sguardo attento. Lo guardai un'ultima volta e notai un cipiglio sul suo volto, che si affrettò a togliere. Afferrai la sua felpa e la posai sul tavolo. Il suo sguardo si incupì, ma io evitai di prestargli attenzione.
<< È tua. Non voglio indietro i regali. >>
Regali?
<< Non è un regalo e non voglio avere proprio niente di tuo. >>
Prima che potesse rispondere, gli voltai le spalle e nonostante i suoi numerosi richiami, uscii dalla biblioteca con il cuore in gola e la fronte imperlata di sudore. Tentai di calmare il cuore prendendo dei profondi respiri. Scesi le scale, così velocemente che rischiai più volte di cadere, dato il mio essere così tremendamente goffa. Afferrai il cellulare e chiamai Julie, che rispose dopo soli due squilli.
<< Ei, fagiolina. Come butta? >> la sua voce era così cristallina che, ogni tanto, mi spiazzava notevolmente. Non conoscevo una persona più genuina e pura di lei. Era la persona alla quale avrei avrei affidato la mia stessa vita. Un singhiozzo uscii dalle mie labbra tremanti.
<< Cosa diavolo è successo? >>
Il suo tono era estremamente serio e per un solo secondo mi domandai come io potessi meritare tutto questo affetto. Sospirai e iniziai a parlare. <<Julie, ti prego puoi venire a scuola? Ho incontrato lui e non è andata bene, per niente. >>
Rispose affermativo e staccò immediatamente il telefono. In attesa che arrivasse, iniziai a girovagare per la strada, proprio di fronte al cancello della East High School. Un rumore di sassolini mi fece voltare immediatamente dalla parte opposta della strada, che portava verso una stradina buia e desolata. Erano le sei del pomeriggio e il cielo iniziava a scurirsi. Un senso di angoscia e ansia mi pervase totalmente.
<< C'è qualcuno? >> urlacchiai al nulla in preda ad un attacco di panico.
Non c'era nessuno.
Okay Lydia, basta film horror.
Un altro rumore, questa volta di passi, e sicuramente più nitido di prima mi accattonò la pelle. C'era sicuramente qualcuno lì, e avevo una paura fottuta. Me la stavo per fare addosso, me lo sentivo. Mi voltai e qualcuno si avvicinò a me.
La mia schiena aderiva contro qualcuno.
Le lacrime iniziaromo a scorrere insidiose nel mio volto e tentai di fermarle, ma non ci riuscii.
<< Non piangere, Lydia. Non voglio ucciderti. Almeno, non ora. >>
La voce era ovattata e non riuscii a capire se fosse un maschio oppure una femmina.
<< Chi sei? >> chiesi. La mia voce tremava e qualcosa di davvero affilato finì appena sotto il collo. Premette leggermente e un dolore fulminante mi fece emettere gemito di dolore.
<< Se dovessi dirtelo, dovrai morire. E noi non vogliamo che tu muoia quindi ti sto dando un avvertimento. >>
Mi guardai intorno alla ricerca di una scappatoia e sperai con tutto il cuore che Julie non si facesse vedere. Le sue braccia erano coperte da un giubbino nero, di pelle. Da questo potei dedurre che fosse un maschio.
<< Ascoltami. Non importa chi lui sia. Non cercare di capirlo. >>
La lama era ancora ferma lì, continuava a premere e il dolore arrivò nuovamente, più forte di prima.
<< Ti uccideranno se continui così. >> ripetè
<< Chi vuole uccidermi? >> riuscii a dire nonostante il dolore mi stesse facendo impazzire e la paura mi aggrovigliava il cuore.
Non rispose
La presa rallentò e il contatto si fece più lieve fino a scomparire. Mi voltai alla ricerca di soccorso ma la testa iniziò a girare talmente tanto che mi accasciai inerme sull'asfalto. Prima che la mia testa potesse sbattere, qualcuno appoggiò una mano proprio lì, reggendola e impedendo un presunto trauma cranico. Cercai di mettere a fuoco la persona che mi stava salvando.
<< Cosa è successo? >>
Era Thomas. I suoi occhi erano sgranati e continuavano ad ispezionarmi il corpo.
Tentai di parlare ma dalla bocca non uscì neanche un suono.
<< Chiamate aiuto. >> urlò mentre continuava a tamponare il sangue che usciva ininterrottamente dalla ferita. << Adesso! >>
Guardai Thomas, ma ancora per poco.
Tutto iniziò a girare ed un secondo prima di chiudere gli occhi, Thomas prese a smuovermi tentando di farmi rimanere vigile, ma tutto diventò improvvisamente buio e freddo ed il mio corpo cedette.
Era la fine.

***

Angolo autrice:

Ciao a tuttiiiih.
Scusate l'assenza ma ho impiegato davvero molto a scrivere questo capitolo. Tra una cosa e l'altra non sono riuscita ad aggiornare. Vi ringrazio davvero con tutto il cuore per tutte le belle parole che mi riservate.
Secondo voi come andrà a finire?
Chi è quell'uomo che ha aggredito Lydia?

Scoprirete tutto nel prossimo capitolo.

Vi amo. ❤️

__sprxuse__

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