0.4 -"Only by those who inspire me"

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What about us?, P!nk
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Avete quei momenti di puro imbarazzo? Quei momenti in cui l'unica cosa che fate è chiedervi come abbiate fatto a cacciarvi in una situazione del genere? E poi, quando avete realizzato come abbiate fatto, l'improvvisa voglia di tornare indietro nel tempo e picchiare voi stesse per impedire ciò che avverrà? Avete presente? Bene, perché questo è più o meno quello che sto provando io, amplificato però per cento volte.

Percorro le strade di Manhattan insieme a William in silenzio, lasciando che il suono della città che non dorme mai ci faccia da sottofondo. Come promesso il ragazzo si è tenuto a debita distanza, sono stata io quella che si avvicinava di tanto in tanto per via della sua andatura traballante, temendo che possa cadere da un momento all'altro.

"Come mai se scappata la scorsa volta?" chiede con voce roca di punto in bianco. Alzo lo sguardo e lo guardo stranita, lasciandomi sfuggire un sorriso.

"Non dirmi che hai voluto fare la strada con me solo per chiedermi questo." dico divertita e lui mi punta gli occhi lucidi addosso. "No?" dice anche se sembra più una domanda, scoppio a ridere e la mia risata non fa che aumentare non appena, quando alzo lo sguardo, lo vedo con un'espressione accigliata davvero tenera.

"Non hai risposto alla mia domanda." afferma imbronciato ed io alzo gli occhi al cielo. "Diciamo che è una lunga storia." mi limito a dire alzando le spalle. "Tu perché stavi venendo verso di me?" gli chiedo curiosa.

"Diciamo che è una lunga storia." m imita lui inciampando nei suoi stessi passi, lo sorreggo prima che possa cadere e arriccio il naso per il forte odore di alcool che ha addosso. William ride, probabilmente perché ho assunto un'espressione buffa, e si appoggia completamente a me facendomi quasi piegare sotto al suo peso, metto un mio braccio intorno alla sua vita e lui mi sorride malizioso, come se dietro questo mio gesto ci fosse un doppio senso che non riesco a comprendere.

"Dovresti davvero tornare a casa." dico ma lui mi ignora e mi indica un palazzo a meno di un isolato di distanza. "Guarda, io lavoro lì." mi sussurra all'orecchio, come se fosse un segreto di stato, seguo la direzione che mi sta indicando e non posso fare a meno di restare a bocca aperta.

"Fai lo stagista per la Joe's company?" gli chiedo stupita. "Tra poco si chiamera 'Thompson's company e comunque adesso sono il capo." dice ridendo ed io alzo gli occhi al cielo. 

Si certo ed io sono la regina Elisabetta. La Joe's company è un'azienda nata a New York da meno di diciotto anni e il creatore di tutto ciò è partito realmente dal nulla, guadagnandosi così il rispetto di tutta New York e un gran successo e non penso che un uomo tutto di un pezzo come Joe Thompson si dimetterebbe per mettere al comando un...

Aspettate un attimo, cosa?

"Tu sei il figlio di Joe?" chiedo quasi urlando e lui annuisce svogliato. "E come mai tuo padre si è dimesso?" domando ancora incuriosita.

"Non hai saputo la notizia? Mio padre è morto" dice allargando le braccia, lo guardo mortificata e non appena lo nota mi punta traballante un dito contro. "Non provare a dire mi dispiace, condoglianze, lui non vorrebbe che ti annulli o stronzate varie, intesi? Ne ho già sentite abbastanza di queste idiozie e mi fanno venire la nausea. Dio, dov'è la vodka quando serve." borbotta per poi iniziare di nuovo a camminare a passo vacillante.

"Quindi bevi per questo?" probabilmente starò passando per la ficcanaso e odio esserlo, ma questo ragazzo mi intriga e poi non si ricorderà niente,  quindi tanto vale chiederglielo e soddisfare la mia curiosità.

"Bevo per tante cose." si limita a dire lui ed io mi trattengo dallo sbuffare, questo non è esattamente ciò che volevo sentire. "Tu piuttosto ti lasci convincere così tanto facilmente da tutti i ragazzi ubriachi?" chiede inclinando la testa con un sorrisetto.

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