1.2 - "You are too stubborn"

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Remind me to Forget, Kygo, Miguel
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Non mi è mai piaciuto il mio vero nome.

I miei genitori erano fissati con la mitologia greca e l'etimologia dei nomi, valli a capire, perciò decisero di darci questi nomi: Cassandra, colei che sa, e Arianna, che significa pura o casta.

E mentre a mia sorella, che passava ogni anno con il massimo dei voti a scuola, il nome le calzava a pennello, il mio non era esattamente azzeccato cosa che infastidiva i miei genitori che me lo facevano pesare ogni giorno della mia misera esistenza: non andavo in chiesa la domenica; non mangiavo in modo garbato, frequentavo ragazzi più grandi; non svolgevo regolarmente i miei compiti scolastici; non indossavo i vestiti eleganti e sobri che mi consigliava mia madre ma bensì jeans strappati, anfibi neri e magliette corte; imprecavo, e impreco, come una camionista.

Insomma non ero la versione più santa di mia sorella e questo, unito al fatto che ero il frutto di una relazione clandestina di mia madre, mi rendeva ai loro occhi la pecora nera, colei che aveva rovinato la loro serenità e abbassato il prestigio della famiglia e un mucchio di belle altre cose.

Avevo provato molteplici volte a trovare qualche diminutivo e farmici chiamare così ma con la mia famiglia era pressoché impossibile, quindi ho dovuto sopportare quel nome per i miei primi 16 anni e mezzo di vita, poi dopo essere stata ignorata dalla mia famiglia quando ero tornata a casa ho deciso di tagliare definitivamente i rapporti e ho cominciato la mia nuova vita.

Loro non potranno mai tagliarmi via: i colleghi, gli amici dei miei genitori, le compagne di scuola di mia sorella ricorderanno sempre la piccola Arianna Miller con i capelli rossi e una vena ribelle; ricorderanno la figlia che non assomigliava affatto a Mark e Cecilia Miller se no per i capelli rossi, ma all'uomo con cui Cecilia è andata a letto; ricorderanno la ragazza che se ne è andata di casa a 16 anni e a cui hanno sbattuto in faccia la porta sei mesi dopo, sia ringraziato il cielo per i vicini che non si fanno mai i fatti loro.

Io invece? Mi è bastato semplicemente cambiare nome e hanno smesso di esistere nella mia vita e con loro Arianna. Ho scelto il cognome di mia nonna paterna, l'unica persona che mi abbia mai voluto realmente bene, e il nome della protagonista del mio libro preferito.

Kaylee Anderson. Un nome comune, perfetto per la vita da senzatetto che avevo iniziato. Non lo sa nessuno ovviamente, tutti mi conoscono così. I miei amici sanno solo una piccola parte della storia, i miei che mi sbattono la porta in faccia dopo che ero tornata, niente di più.

Il fatto però, quello che faccio fatica ad ammettere a me stessa,  è che cambiando nome volevo cambiare anche vita, lasciandomi alle spalle quella passata, o meglio quello che avevo passato nei sei mesi in cui me ne ero andata, prima che tornassi dai miei e che loro mi sbattessero la porta in faccia.

"Certo che quest'anno lo stai iniziando proprio con la testa sulle nuvole." dice una voce che riconosco subito essere quella di Daniel.

"Mh?" chiedo ancora un po' intontita focalizzando il mio sguardo su di lui.

"Non ci stai proprio con la testa, eh?" chiede retorico e io gli rivolgo un sorriso colpevole.

"A cosa pensi rossa?" chiede serio e io faccio spallucce.

"Niente in particolare." borbotto e credo di aver visto un'espressione delusa passare sul suo volto.

"Tu?" domando io. Sono le sette di sera e oggi siamo rimasti io e lui a fare da guardia mentre gli altri sono andati a fare un giro a Central Park, adesso sto aspettando che tornino in modo che possa andare a Times Square.

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