19/Veritaserum: parte 1

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Fiocchi di neve candidi e ghiacciati stavolta cadevano lenti. Ogni traccia del rabbioso vento scozzese di colpo svanita come il sole al tramonto. Il ventiquattro Dicembre era calmo e sepolto sotto decine di bianchi strati soffici, la tranquillità sovrana indiscussa della fresca mattina, mentre lo storico castello semivuoto non mancava di certo di superbe decorazioni e festeggiamenti regali. Perfino i mattoni grigi delle torri, vecchi e con la neve a ricoprirli quasi del tutto, contribuivano con muta gioia alla nobile atmosfera natalizia: essa si estendeva anche all'esterno, con un lento turbinio di eleganza e allegria che celava con abilità noncurante il terrore della guerra.

Ronald Weasley giaceva sul suo baldacchino con aria spossata, eleganza e allegria ben lungi dallo stargli accanto, gli occhi pesanti cerchiati da occhiaie quasi viola, dolcemente ricoperto da lenzuola di flanella e cullato dal calore che queste gli lasciavano sulla pelle pallida. Accanto a lui Lavanda Brown dormiva beatamente, con il viso spiaccicato in malo modo sul suo petto e le gambe sottili intrecciate alle sue. Con la sua immagine tranquilla e gaudente, andava riempiendo il cupo silenzio della stanza con i respiri regolari di una donna serena. A volte i lunghi riccioli biondi solleticavano ribelli il collo del suo amato arrivando a sfiorargli con delicatezza il pomo d'Adamo, lasciandogli qualche fragile brivido d'ebbrezza sulla pelle d'oca. In altre circostanze la cosa avrebbe potuto farlo sorridere di piacere e di calma, di pallida felicità o perfino di lascivia; ora altro non sentiva che un lieve fastidio incombente farsi strada in tutta fretta lungo la sua schiena rigida.

Sbadigliò lentamente, una mano sulla fronte e poi sugli occhi stanchi. L'ultimo, lunghissimo sospiro di una lunga serie finì per sfociare in un vero e proprio sbuffo, mentre il suo sguardo chiaro si spostava pigramente per la grande camera vuota, fino a posarsi sulla sagoma scura della finestra e poi sul costoso baldacchino vuoto del suo migliore amico. Le lenzuola rosse e oro giacevano ben tirate sul materasso spesso, relegate in modo ordinato sotto una discreta mole di cuscini dello stesso colore; neanche un loro lembo fuoriusciva dal legno del letto. Era evidente che non era mai stato disfatto.

Inutile aspettare che Harry tornasse in stanza: trascorreva ormai lì ben poche delle sue notti. Quasi tutte erano insonni, lente e crudeli torture che lo seguivano da parecchie settimane, negandogli con ostinazione ogni forma di riposo. Torture dal viso di una mora Serpeverde. Da quando aveva saputo di Draco e Pansy, la sua gola, così aveva detto il moro, era diventata fissa dimora di un nodo doloroso e immensamente costante. Forse non l'avrebbe abbandonato mai: non si limitava a togliergli il respiro durante pochi, limitati istanti fugaci, anzi, poteva farlo per intere notti, trascinandolo in lente spirali di finto soffocamento e costringendolo a sottrarsi prematuramente alle lenzuola. Così andava da quando l'ultimo pilastro a tenere in piedi quel suo mondo ovattato fatto d'illusione, quel mondo su cui Pansy Parkinson regnava altezzosa troneggiando con arroganza e trucco benfatto, era stato demolito dalla voce sottile e ben piazzata di un pettegolezzo. Così andava da quando il suo cuore, che gli batteva con coraggio nel petto bollente di Cercatore Grifondoro, era stato fatto a pezzi con mera semplicità da due piccole e sottili mani dalle unghie tinte. Così andava da quando Ron, il suo migliore amico, aveva lasciato che l'unica cosa in grado di rimettere insieme quei piccoli pezzi di fuoco andasse in cenere proprio tra poche fiamme. Così andava da quando aveva tenuto per sé i contorni di una verità riparatrice gustandosi tra le labbra la dolcezza zuccherina della vendetta.

Più di una volta aveva desiderato tornare indietro e ripercorrere gli istanti di quella scelta. Più di una volta avrebbe voluto sputare quel dolce zucchero, anche costo di rimanere con l'amaro in bocca. Ma poi il dolce sapore lo aveva inebriato e si sa, non si torna a ferro e rame dopo aver assaggiato l'oro. E questo lo portò inevitabilmente ad un'unica, profonda convinzione:

Sentirsi in colpa non era abbastanza.

Spesso, durante la notte, il rosso apriva gli occhi terrorizzato e si sentiva svenire, il suo stomaco un tempo forte abbastanza da ospitare chili di pollo ora attanagliato con rabbia da improvvise fitte intense. Il fin troppo familiare nodo in gola gli aveva ormai fatto visita in più di un'occasione, insieme ad una dose cospicua di incubi e ansie perenni. Mai come in quei momenti aveva maledetto se stesso per aver osato mangiare, tanti erano i dolori che costellavano le pareti del suo stomaco e tanta era la frustrazione che contraeva con tenacia ogni suo muscolo.

I don't wanna die//DramioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora