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ABIGAIL'S POV


«Come minimo gli avrei ficcato una dozzina di pallottole in testa a quel bamboccio!» Esclamò Ilir salendo in auto mentre mi allacciai la cintura di sicurezza. 

«Non è così che si agisce a tutto.» Mormorai comprendendo il dolore di Evan. «Tu non lo conosci e non sai quanta bontà e positività c'è in lui. Evan è una delle persone che mi sta più a cuore e se ha reagito così è solo perché sta soffrendo. La sua è una situazione particolarmente complicata, non giudicarlo!»

«Beh, un bel pugno in faccia per come ti ha trattata, ci stava.» Ribadì con fermezza mentre scossi la testa. «Tu non hai colpe se loro padre è morto, Abigail! Ferito o meno, avrebbe comunque potuto utilizzare un tono differente ed invece ti ha trattata come se fossi immondizia. Cazzi suoi se ce l'ha col mondo, ciò non gli dà alcun diritto di rivolgersi a te così. Se vuoi torno indietro e gli sfascio la mandibola!»

«No, Ilir, no. Non si risolve niente con la violenza.» Aggiunsi infilandomi le dita tra i capelli umidi, dando loro una forma decente. «Se lui in questo momento, per vari motivi, non si sente di avermi nella sua vita, allora rispetterò il suo volere e me ne starò in disparte. Voglio solo che lui e sua sorella siano al sicuro.» 

«Sai che ti basta chiedimelo ed ordinerò ad uno dei miei uomini di stare loro alle calcagna. Seguirà ogni loro movimento giorno e notte, come un' ombra ,ed inoltre, coprirà loro le spalle da ogni possibile pericolo.» 

Socchiusi gli occhi e ci pensai per qualche istante. Era una buona idea quella di proteggerli da qualche eminente rischio, soprattutto da Kris Reid. «Se non è chiederti troppo.»

Ghignò, tirando fuori dalla tasca dei suoi jeans il suo telefonino del ventesimo secolo. Sorrisi, certa che ne avrebbe dato uno simile anche a me mentre ordinò qualcosa a qualcuno nella sua lingua, nominando anche i figli di Benjamin Miller. 

Cazzo, pensai, Miller era morto. Sembrava così strano e la notizia colse tutti di sorpresa, lasciandoci in qualche modo sotto shock. Un mio pensiero andò anche alla povera Emma, vittima delle circostanze. Chissà se avessero già allarmato i suoi cari o come avesse reagito la sua famiglia ed i suoi amici alla tragedia. Sospirai sonoramente mentre lui di scatto si voltò a guardarmi.

«Che hai? Sembri pensierosa.» Si fermò ad un semaforo mentre restai ammaliata dal movimento dei tergicristalli che scacciavano via la pioggia dal parabrezza andando allo stesso ritmo con i battiti del mio cuore. «Ti senti male?»

«No, ero solo soprappensiero.» 

Annuì. «Se vuoi ci fermiamo da qualche parte a prenderci qualcosa da bere. Ti va?»

Incrociai il suo sguardo. «Puoi portarmi in un posto?»

Sollevò con curiosità un sopracciglio. «Certo, se me lo indichi.»

Annuii ed in un battibaleno ci trovammo sulla statale diciassette, verso Luqa, nei pressi dell'aeroporto. 

«Da quanto state insieme tu e Harry?» Domandò dal nulla, rompendo quell'assordante silenzio.

«Da quanto conosci Harry?» Replicai cogliendo la palla al balzo. Se lui non avrebbe risposto anche alle mie domande, allora, io non avrei risposto alle sue.

Sorrise. «Sei un osso duro tu, eh?»

Lo guardai. «Sto aspettando.»

«Di vista? Da qualche anno, quando anche lui frequentava gentaglia. Credo prima che sua madre morisse, ma non ci eravamo mai presentati fino a qualche mese prima quando ci siamo imbattuti l'un l'altro per caso. Io e mio fratello minore, una volta giunti a Londra, dall'Albania, abbiamo iniziato a fare ogni tipo di lavoro. Avevamo diciotto e sedici anni.» Mormorò mentre girai anche il busto nella sua direzione ascoltandolo con attenzione. «Sai com'è quando non conosci bene la lingua, il luogo, le tradizioni, le ragazze....» sorrise squadrandomi da cima a fondo in modo malizioso «...finisci per cacciarti sempre nei guai. Guai più grossi di te.»

𝚜 𝚞 𝚍 𝚍 𝚎 𝚗 𝚕 𝚢   𝟸 // 𝚑.𝚜  {𝙰𝚄}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora