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Alex sorseggia lentamente la tisana, mentre comincia a riprendere le forze. Sente il liquido caldo scivolargli in gola e scaldargli il corpo; il cuore si è placato lasciandogli solo una traccia di pesantezza al torace e i tremori si sono spenti nella calda e soffice stoffa di quel benedetto cappotto, che, se ne accorge solo ora, deve costare quanto un miniappartamento.

– Da quanto ne soffri?

Alex si riscuote. – Cosa?

– La sindrome di Stendhal, da quanto ne soffri?

A disagio, Alex evita il suo sguardo. Anton Lacroix è una celebrità nel mondo dell'arte contemporanea, un vero e proprio vip, con tanto di autista privato e periodico servizio televisivo, dedicato, sul telegiornale nazionale. Dirige una rivista d'arte, ha una linea di moda con base a Parigi, uno stock di pubblicazioni diventate bestseller, e possiede una catena di gallerie espositive disseminate per le maggiori capitali del mondo, senza contare i palazzi e le ville che ha sparpagliati tra Italia e Francia. E lui ora gli sta insudiciando di sudore quel magnifico cappotto che emana un profumo capace di farlo sentire in paradiso.

– Alessandro...?

Alex sbatte gli occhi, rendendosi conto di avere la reattività di un bradipo narcotizzato. Con un angolo della mente pensa a quanto suoni piacevole, ed elegante, il suo nome pronunciato da quella voce, che pochi minuti prima gli ha pure chiesto di dargli del "tu". Si passa una mano sugli occhi e in tono stanco dice: – Stendhal...? Sì, mi dispiace... Io non pensavo di ricaderci, davvero.

Anton incrocia le mani sul tavolino. – Dunque ho intuito bene.

– Già, – fa lui con un sorriso imbarazzato, – le opere d'arte, in particolare i dipinti e le sculture, mi terrorizzano. Anche solo guardare la foto di una statua su una rivista mi fa stare male... Scusa, ma che ci fa uno come te in una piccola città come Rabra?* A parte quel vecchio castello puzzolente e quattro dipinti nel palazzo comunale, non c'è alcuna attrattiva artistica. Qui il massimo della vita è passare la giornata al centro commerciale.

– Stavo facendo un favore a un mio vecchio amico – spiega lui in tono annoiato – Suo figlio è il curatore della mostra d'arte che è stata allestita, voleva un mio parere informale per capire se abbia davvero talento. Comunque, non ha importanza. Mi spieghi, invece, perché sei entrato in quel museo? – chiede adesso con vivo interesse.

Perché sono un idiota, pensa lui. Poi con un sospiro, risponde: – È una cosa che limita la mia vita. Non lo sopporto. Così, ci riprovo ogni tanto. Questa volta mi ero preparato: meditazione, pensiero positivo, sai, cavolate del genere. Ero sicuro di farcela. Mi sono preso apposta un giorno libero dal lavoro. Pensavo davvero di riuscirci...

– Che lavoro fai, se non sono indiscreto?

Alex abbassa lo sguardo. – C...computer, – balbetta, – sono un programmatore informatico. Risolvo problemi alle aziende che mi ingaggiano. Lavoro in proprio, da casa.

– Abiti vicino? Ti serve un passaggio?

– No, grazie. Vivo nei paraggi, ci torno a piedi.

Per un attimo l'uomo resta in silenzio, sorseggiando il suo caffè lungo. – Quello che hai fatto, – commenta, – è stato estremamente coraggioso, ma anche incosciente. Da quanto ho potuto vedere, soffri di una forma molto grave di questa sindrome. Sto ancora considerando l'idea di portarti in pronto soccorso. Hai un colorito che non mi piace per niente.

Alex avvampa come una ciliegia. Para una mano davanti a sé, strappandosi un sorriso in volto. – Dio, no! No, ti prego! È del tutto normale per me: questo bianco-cadavere che vedi e le occhiaie... è il mio viso di sempre! Resto al computer anche venti ore di seguito, hai presente? Sono un vero nerd, mi segui? Sai quegli sfigati, con gli occhiali da talpa, che non hanno una vita e nemmeno contatti sociali, con la gastrite a palla perché mangiano solo merendine scadute. Solo che non porto gli occhiali, – aggiunge pensoso, – non ancora comunque... Non... non capisco perché... – e si morde la lingua.

Anton si sporge in avanti. – Non capisci cosa?

L'altro incespica. – Non sono abituato a essere... – Sorride. Un sorriso triste, appannato. Sospira e si alza dal tavolo. – Sei stato davvero gentile. Ti ringrazio, Antonio. Se mi dici come fare, ti rispedisco il cappotto lavato appena possibile.

Anton si solleva in piedi con lui, accigliato. – Non c'è problema, ti ho aiutato volentieri. Questo è il mio biglietto da visita, al momento alloggio in albergo, ripartirò per Firenze tra pochi giorni. Ma... Alessandro...

– Sì?

– Cosa stavi per dire un secondo fa? Parlavi di non essere abituato a qualcosa...

Alex inclina la testa. Di nuovo quel sorriso triste. Gli porge la mano e nel salutarlo risponde in tono gioviale: – Alle persone buone come te!

Esce dal bar. Anton segue il suo incedere rapido dalle vetrate del locale, mentre il freddo serale di quel tardo settembre va calando sulla sua figura longilinea. Una figura sublime che vorrebbe potere ritrarre, scolpire. Ma sa già che non riuscirebbe a rendere giustizia, né a riprodurre, il viola di quegli occhi, la china di quei capelli e la bellezza dell'anima che vi ha intravvisto dentro.


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(*) Rabra=Nome fittizio.

Come petali di Veronica persicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora