Alex si risveglia con un sussulto, dopo avere avuto un incubo in cui si ritrovava rinchiuso dentro Palazzo Vecchio, a Firenze, nel Salone dei Cinquecento, circondato da dipinti immensi e statue ciclopiche.
Con il cuore in tumulto avverte qualcosa di umido sul mento, poi si accorge di stare sbavando sulla tastiera, su cui si è addormentato cinque ore prima. Le dà un'asciugata rapida e l'accarezza con affetto: – Tanto sei abituata a me, ormai, compagna di battaglie, – mormora con un sorriso.
Si sgranchisce la schiena e lancia un'occhiata ai nuovi messaggi sul terzo schermo acceso della sua scrivania: dieci notifiche di offerte di lavoro, una ventina di chat dagli amici e una quarantina di mail da controllare dalla sera prima. Arraffa una brioche mezzo ammuffita e la inghiotte con un sorso di caffè. Risponde, smista e archivia il tutto in meno di mezz'ora, quindi ciabatta verso il bagno per rinfrescarsi.
Mentre lava i denti si guarda allo specchio e mugugna: – Ma che cavolo di ore sono?
Non è la prima volta che gli capita di perdere del tutto il senso del tempo e non sapere se sia notte o giorno. Terminato di sciacquarsi la bocca, spalanca la finestrella del bagno e sbircia di fuori. – Ma è l'alba o il tramonto?
Ritorna al soggiorno e spalanca la porta finestra, sporgendosi sul piccolo terrazzo, da dove si intravvede il viale sottostante e gli altri palazzi del centro storico di Rabra. – Tramonto, decisamente tramonto, – annuisce tra sé e sé.
– L'hai fatto di nuovo! – Una voce di donna dal terrazzo di fianco. Grembiule fantasia a fiori rossi. Sguardo rugoso e permanente anni '70. – Stavo giusto venendo a controllare se eri ancora vivo!
Alex si gira e sorride, stropicciandosi gli occhi. – Sono vivo, sì, Gemma.
Una mano puntata sul fianco, e il grembiule si tende sul morbido grasso che abbraccia quell'affettuosa quasi-settantenne. – Sono tre giorni che te ne stai rintanato in quel buco di appartamento. Non hai nemmeno aperto le tapparelle! – esclama stizzita.
Lui ridacchia. – Sto bene, Gemma, avevo solo un grosso lavoro da smaltire per una ditta giapponese. E lo sai: io respiro anidride carbonica come le piante.
– Già, già, – fa lei, – un giorno o l'altro ti ritroverò a sbavare su quei macchinari come un vecchietto.
Alex evita di commentare e arrossisce un poco, pensando alla sua povera tastiera.
– Hai venticinque anni, signore mio, – prosegue lei, – dovresti goderti la vita: fare sport, andare in discoteca, frequentare donne, o uomini, nel tuo caso... Chi sposerà mai un fossile che resta chiuso in casa tutto il giorno?
Lui agita una mano davanti al volto, incapace di rispondere, come sempre, all'inquisizione giornaliera dell'amica, vedova da nove anni e affettuosamente abbandonata dai suoi tre figli, tutti con carriere di successo, poco adatte a una ex-domestica in pensione.
– Cos'hai mangiato in questi giorni?
Uno sguardo nel vuoto. – Uhm, avevo un pacco di brioche.
– Ti aspetto qui! Pettinati e indossa abiti umani. Hai bisogno di nutrirti.
– Ma...
Gemma gli rivolge il suo sguardo speciale, di minaccia. – Devo venire lì?
Alex nega con la testa e deglutisce a vuoto. Il suo nido, no. Non il suo nido.
La donna gli ha affittato il bilocale a condizione che lui non facesse particolari cambiamenti. E ha mantenuto la parola, tranne per il fatto che il soggiorno è stato trasformato in una specie di sala di controllo con un cablaggio degno di una stazione spaziale. È la sua sala comando. Nessuno ha il diritto di vederla, di entrarci, e nemmeno di respirarci dentro, pena la morte. Ma Gemma ha le chiavi. E più di una volta negli ultimi anni l'ha dovuto soccorrere, trovandolo svenuto per il troppo lavoro. Così non può impedirle di entrare, ma cerca di evitarlo con tutte le forze. Lei lo ha capito e ha imparato a ricattarlo.
– Va bene, – capitola. – Dammi un minuto.
Mentre mangiano insieme, nella sala da pranzo rivestita da carta da parati, tappeti persiani e foto in bianco e nero, Gemma si informa sul suo lavoro e quindi si sfoga sull'ultima telefonata ricevuta dai figli: – Parlano di casa di riposo, dicono che non si fidano a lasciarmi a casa da sola, che potrei lasciare il gas acceso o cose simili... ma io non sono un'impedita. Avere sessantasette anni non significa diventare all'improvviso una demente. Sono andata in pensione, ma non sono rimbecillita. Solo perché non so usare quei cellulari moderni? E pensare che gli cambiavo i pannolini a quei tre disgraziati, tanta di quella cacca ho visto nella mia vita, e adesso ce l'hanno nel cervello, solo che io lì non ci posso fare più niente, purtroppo!
Alex inghiotte un pezzo di dolce, sentendo invece un gusto amaro in bocca, pensando a quanti sacrifici abbia fatto quella donna, con il marito, per permettere ai figli di studiare e farsi una posizione nel mondo. E riflette su quante cose vengano date per scontate, quando se ne hanno troppe.
Gemma gli posa una mano sul polso. – Non volevo intristirti, Alex. Come sta... lei? L'hai sentita di recente?
Lui annuisce. – Sabrina sta bene, – risponde senza aggiungere altro.
La donna sospira. – Vorrei ben vedere! È anche ora che cominci a badare a se stessa, quella sciagurata combinaguai. Non l'hai aiutata abbastanza? Ci conosciamo ormai da tempo. Il mio cuore ti ha adottato, sai? – Si scambiano un sorriso. – Perdona le parole di un vecchio cappotto scucito.
Alex sobbalza.
– Ehi, che ti prende, figliolo?
Lui si alza in piedi facendo stridere la sedia. – Il cappotto! Oh Dio!
Gemma lo fissa perplessa. – Quale cappotto? Che vai dicendo?
Alex si porta una mano alla bocca. – Ho dimenticato, cazzo! L'ho dimenticato! Non gliel'ho restituito! Quella sera avevo una commissione urgente e poi... l'ho portato in lavanderia? Non me lo ricordo. No, non è possibile, – si batte una mano sulla fronte, – l'ho lasciato appeso in bagno! Oh Dio, ma quanti giorni sono passati? Siamo ancora in settembre, giusto?
– Siamo a metà ottobre, ragazzo. Sul serio, sei messo peggio di me.
– Dio, ti prego, fa che non abbia gettato il suo biglietto da visita!
Esce come un turbine sbattendo la porta.
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Come petali di Veronica persica
RomansaCosa faresti se la tua anima gemella facesse proprio il lavoro che ti terrorizza? Il famoso artista Anton Lacroix e il genio informatico Alessandro Spada, affetto da Sindrome di Stendhal, si incontrano nel museo di un castello, dove gli spettacolar...