– Terra-inghiottimi, terra-inghiottimi, terra-inghiottimi!
Alex corre trafelato per le stradine scansando i passanti con agilità, mentre stringe a sé il cappotto di Anton Lacroix, fresco di lavanderia. Non riesce ancora a credere di avere dimenticato quell'indumento pregiato dentro al suo bagno per tre settimane, ad assistere impotente alle sue, ben poche, docce veloci e, ben molti, miasmi vari, oltreché a rimanere ben impregnato del suo sudore di quel giorno funesto al museo. Per fortuna il personale della lavanderia, dove l'ha portato, ha fatto un lavoro egregio, rimettendolo a nuovo.
Il biglietto da visita, altro colpo di culo, è rimasto infilato nella tasca di un paio di jeans che non aveva ancora buttato a lavare, e dopo una rapida ricerca nel cumulo di vestiti ammassati sul pavimento l'ha ritrovato.
Terza botta di fortuna è stato il fatto che Lacroix abbia cancellato tutti i suoi impegni all'estero, rimanendo a Firenze per lavorare nel suo studio a tempo indefinito. La segretaria, che ha risposto al numero di telefono indicato sul biglietto, una volta appreso il suo nome, gli ha fissato un appuntamento il giorno stesso, dandogli indicazioni su dove recarsi, rivelando che il suo capo era ansioso di rivederlo.
Alex ha preso una corriera e un autobus per arrivare in tempo, benedicendo il clima pungente ma sereno di quella giornata di ottobre. L'edificio dove risiede Anton è il Palazzo Lacroix sul lungarno Guicciardini: famoso centro eventi e sede di uffici prestigiosi.
Capisce che la sua fortuna è finita nel momento stesso in cui si ritrova davanti all'ingresso, fronteggiando un imponente palazzo quattrocentesco, rifinito da cornici marcapiano, finestre ad arco centinate, stemma di famiglia sul frontale e busti di letterati illustri, incassati in nicchie ad arco. Si sente mancare il terreno sotto ai piedi nell'ammirare il portale massiccio, decorato da altorilievi, che incornicia una ben più moderna porta a vetri scorrevole.
Avanza con il cuore in gola, cercando di controllare il respiro e tenendo lo sguardo basso. Quando varca la soglia, le porte si aprono con un sospiro e lui si ritrova in un atrio spazioso e pieno di luce. Tenta uno sguardo rapido intorno a sé e si pente immediatamente di averlo fatto. La parete alla sua sinistra è interamente affrescata, con due statue a incolonnare una scala imponente che dà al piano superiore.
Il cuore va a mille, mentre tenta di raggiungere la reception alla sua destra. Balbetta il suo nome all'impiegata, che fa una ricerca rapida sul computer e gli chiede di attendere un attimo. Alex aspetta, non potrebbe fare altro, del resto, perché è completamente paralizzato dal secondo affresco, che ricopre tutta la parete alle spalle della signorina. Si sente accerchiato. Aggredito. Le mura dell'atrio che si allargano e si stringono come ali malevole su di lui a soffocarlo, ucciderlo...
– Signor Spada? Alessandro Spada?
Una setosa voce di donna, dallo spiccato accento francese, lo riscuote. – Sono io, – ansima girandosi verso la scalinata.
Una signora sulla quarantina, avvolta in un tailleur color avorio e décolleté bianche tacco dodici, scende le scale e avanza a passo spedito verso di lui, gli tende la mano presentandosi. – Buongiorno, sono Francoise Lacroix, la segretaria personale di Anton. Ha parlato con me al telefono stamattina. È un piacere conoscerla.
– B... buongiorno, – balbetta lui, stringendole la mano con palmo e dita bagnate di vergognoso sudore. Sbatte gli occhi per restare lucido e le porge l'involto con il cappotto. – Questo è per Antonio, cioè il signor Lacroix, è il cappotto che mi ha prestato. Ringrazi tanto suo marito da parte mia e gli rinnovi le mie scuse per la dimenticanza.
La donna lo squadra inclinando il viso di lato, per più tempo di quanto l'educazione consentirebbe. – Anton mi ha pregato di avvisarlo subito del suo arrivo, ma ha ricevuto una telefonata importante e quindi mi ha chiesto di fare le sue veci. Vorrebbe tanto incontrarla di persona. Ha accennato al suo disagio con le opere d'arte, pertanto, se non le dispiace, le farò strada verso gli ascensori, utilizzeremo un percorso alternativo, lungo l'ala restaurata a nuovo fino al suo studio, dove mi ha detto di condurla. Vuole seguirmi, signor Spada?
– C...certo, – balbetta lui.
Mentre imboccano un lungo porticato a vetri, che dà a un rigoglioso giardino interno, Francoise si gira a mezzo e dice: – Ah, a proposito, Anton non è mio marito.
– Ah, – fa Alex stordito e teso come una corda di violino, senza avere la forza di indagare oltre. Arrivano agli ascensori e la donna gli fa cenno di entrare. Preme il numero quattro e resta in silenzio durante tutta l'ascesa. Si muove solo una volta per portarsi una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio. Quando le porte si spalancano, si ritrovano in una grande anticamera a pareti bianche con un lato interamente a vetri, aperto sulla corte interna, da dove filtra la vivida luce del mezzogiorno.
C'è una postazione a scrivania dall'altra parte, con un computer acceso e blocchi di documenti tutt'intorno, un archivio a parete ricolmo di raccoglitori e un telefono che seguita a squillare. L'aria odora di nuovo, come se l'ambiente fosse stato appena imbiancato.
Francoise solleva una mano, garbata, a indicare la doppia porta davanti a loro. – Prego, signor Spada, si accomodi, Anton la sta aspettando nel suo studio. Mi perdoni se non l'accompagno, ma attendiamo notizie dalla Corea, devo rispondere.
Alex accenna un assenso comprensivo, mentre la donna si precipita al telefono. Con un sospiro si avvicina alla porta, la apre e fa un passo all'interno. Pensava di ritrovarsi in un ufficio, invece si rende conto di essere entrato in un salone immenso e altissimo, pieno di luce.
Prima ancora di vedere Anton, intento a parlare al cellulare in centro sala, accanto a un cavalletto con una tela appena abbozzata, scorge un imponente altorilievo a parete a pochi centimetri da lui, riproducente l'incompiuta "Battaglia di Anghiari" di Leonardo da Vinci, di fianco alla porta. La voce gli si blocca in gola, barcolla come colpito da un gancio in pieno stomaco. Boccheggia incapace di respirare, indietreggia e crolla a terra rantolando.
Anton chiude la chiamata e si precipita da lui, lo solleva di peso e lo trascina fuori, affrettandosi a chiudere la porta del suo studio. – Mi dispiace tantissimo, – ansima sorreggendolo, – avevo detto di farti attendere nel mio studio privato, Francoise deve avere capito, invece, lo studio dove lavoro alle mie opere. Zut, Fran, je vous ai demandé d'aider, de ne pas mettre Alessandro en difficulté! (="Accidenti, Francesca, ti avevo chiesto di aiutare,non di mettere Alessandro in difficoltà!") – sbotta seccato verso la donna che sta ancora parlando fittamente al telefono in fluente coreano, mentre pesta frenetica sulla tastiera del suo notebook. Francoise solleva le spalle e sussurra con un filo di voce: – Pardon.
– Eh bien, ça ne fait rien, (="Vabbè, lasciamo stare") – esclama Anton scuotendo la testa. – Alessandro, tutto bene?
Lui mugugna qualcosa di incomprensibile mentre cerca di reggersi sulle gambe, aggrappato ancora al cappotto che stringe in una morsa disperata.
Anton lo sostiene per i fianchi e gli parla dolcemente, riuscendo a sfilarglielo dalle mani e posarlo da parte. Alex cerca di riaversi, pensando che oltre la parete c'è ancora quel gruppo marmoreo terrificante, ma stranamente la presenza di Anton riesce a calmarlo molto prima del previsto. Questi intercetta il suo sguardo e con piglio pratico dice: – Vieni, allontaniamoci da qui, andiamo nel mio ufficio. È in fondo a questo corridoio, te la senti di camminare?
Alex annuisce e si fa condurre docilmente al sicuro.
STAI LEGGENDO
Come petali di Veronica persica
RomanceCosa faresti se la tua anima gemella facesse proprio il lavoro che ti terrorizza? Il famoso artista Anton Lacroix e il genio informatico Alessandro Spada, affetto da Sindrome di Stendhal, si incontrano nel museo di un castello, dove gli spettacolar...