22

469 41 73
                                    


Gemma aveva ragione: non appena Anton lo vede, strabuzza gli occhi come colto da un ictus. – Sei... uno schianto, – balbetta aprendogli la portiera.

Alex non sa bene come prendere quel complimento, né come reagire. Si limita a sorridergli e accomodarsi nell'abitacolo accanto a lui, un momento prima che l'autista ingrani la marcia.

Scambiano un paio di parole, quindi rimangono in silenzio. – Va tutto bene, Antonio? – chiede dopo un poco. – Ti vedo tanto serio. Sei stanco?

Lui si riscuote come strappato da altri pensieri e fa un debole sorriso, mentre si allenta il colletto della camicia. – Problemi sul lavoro, purtroppo. Conti che non tornano.

Alex ha una stretta al cuore nel vedere quegli occhi di dolce luce verde incupiti da ombre. – Ancora? – sospira. – Lavori come un pazzo ogni giorno. Perché quelle cavolo di cifre non ti lasciano in pace?

Anton espira una risata stanca. – Già... me lo chiedo anch'io. – Sospira e gli sfiora il dorso di una mano con le dita. – Ma questa sera non voglio pensare ai problemi. Finalmente ci vediamo e io voglio esserci al cento per cento per te.

Alex ha un tremore interno a quel tocco. Calore e ghiaccio. Fuoco e vento che si mescolano dentro di lui. Anton fa per ritrarsi, ma lui, d'istinto, lo trattiene in una stretta timida e delicata.

– Alessandro... – la sua voce è come una carezza, non serve che alzi il viso per immaginare la sua espressione.

Alex giocherella con le sue dita, lunghe e affusolate; traccia piano dei cerchi sul suo palmo: liscio, morbido... e caldo, di un calore che penetra nelle cellule e raggiunge l'anima. Sente Anton sospirare e quindi posare il capo sul poggiatesta. – Perché il mondo diventa improvvisamente migliore quando ci sei tu? – mormora questi a mezza voce. – Tu fai tornare tutto in prospettiva. Lo sai?

Lo vede chiudere gli occhi. La maschera che gli è evaporata dal volto rivela adesso un'espressione esausta, stremata, sul punto di crollare. Alex gli stringe la mano con forza, quindi, tremando come una foglia, se la porta alle labbra e vi deposita un lentissimo bacio. La tiene poi sul cuore, scaldandola testardamente tra le sue, gelide, con piglio feroce e protettivo.

– Ti amo.

Così. Due parole. Così se ne esce Anton. Senza aprire gli occhi. Senza nemmeno guardarlo. Senza aggiungere altro. Senza spiegare. Perché non c'è spiegazione, infatti, per quello che sentono, per ciò che provano l'uno per l'altro. E non c'è bisogno di risposta. Non c'è bisogno di dire: "anch'io". Quel suono, quella vibrazione sospesa tra di loro, appartiene a entrambi. È "proprietà privata" racchiusa nei cancelli del Cielo.

Restano così per tutto il viaggio fino alla villa: fermando il tempo ed escludendo il mondo intorno a loro.

Quando l'auto si avvicina al portale d'ingresso, Alex sbircia dal finestrino e spalanca gli occhi sorpreso: – Che fine ha fatto la fontana? – dice ammirando il piazzale vuoto, leggermente imbiancato dal nevischio che sta scendendo fine.

Anton riapre gli occhi e sorride sornione. – L'ho fatta togliere. Abbellirà l'ingresso di un museo in Canada. E ho eliminato anche quei leoni rampanti sulle scale e le statue di efebi accanto alla porta.

Alex ha un brivido. – Leoni, efebi? C'erano dei leoni rampanti...?

– Tranquillo, – replica lui. – Eccetto per il primo piano e il mio atelier, qui non c'è più nulla.

Alex stringe le labbra in una morsa sottile, ma non fiata parola.

Entrano in casa, incontrando subito Quentin, che sta discutendo con alcuni domestici nell'atrio. Anton riceve una chiamata proprio in quel momento, si scusa e si allontana per recarsi nel suo studio. Un cameriere si avvicina, offrendosi di prendere la sua giacca, Alex lo ringrazia, scusandosi per il disturbo e ricevendo un sorriso di riconoscenza.

Come petali di Veronica persicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora