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Dopo un paio di vasche nell'acqua riscaldata della piscina, Anton e Alex si asciugano rapidi, si vestono e rimangono a chiacchierare sui lettini, approfittando di tutto il calore che quel tardivo sole autunnale riesce a trasmettere.

– Quando hai iniziato a interessarti di arte?

Anton nota con un tuffo al cuore che la voce di Alex ha assunto una nota diversa, si è fatta morbida e pastosa. Lo vede insolitamente rilassato, la fronte distesa, la bocca sfumata in un sorriso da Monna Lisa; un braccio dietro alla testa, e gli occhi che brillano come ametiste. È così bello da togliere il fiato. E infatti rimane senza parole: incapace di ricordarsi cosa gli avesse chiesto, incapace di riavviare il suo cervello dopo quel "reset" imprevisto.

Si riscuote dopo un poco e dice: – Fin da subito credo, dipingevo ovunque, mio padre impazziva perché trovava sempre i muri di casa disegnati di pupazzetti e paesaggi. Ogni pezzo di carta era mio; ogni tovagliolo, ogni superficie su cui potessi tracciare una linea. Non hai idea di quante volte abbia dovuto fare imbiancare le pareti, o si sia portato dietro documenti di lavoro, che poi scopriva impiastricciati di bozzetti. Una volta ho fatto una "modifica" a uno studio di Renoir, non mi ha parlato per un mese...

Alex scoppia a ridere.

– E quando ho scoperto la scultura, – prosegue ridendo con lui, – beh, credo si sia arreso. Dipingere è stendere la tua anima su un piano a due dimensioni per darle colore; scolpire, invece, è come trovare un tesoro nascosto e rivelarlo al mondo. Lavorare la pietra non è facile: ti rovini le mani, ti spacchi la schiena, ti danni per conquistare qualcosa che continua a resisterti. – Sfiora Alex con lo sguardo poi torna a guardare il panorama.

– Perché lo fai allora? – chiede questi emozionato.

– Perché la pietra ha un suo calore.

– Un calore?

– Sì, è l'energia fluida che vi scorre dentro. È potente e ribelle. E prende forma solo se tu le permetti di manifestarsi. Ci sono tanti scultori che creano in base a un progetto ben preciso, impongono la loro idea alla pietra. Ma la pietra non si lascia mai sottomettere e si vendica, restando fredda e amorfa. Ne vedi tante di opere così, ne percepisci a pelle l'arroganza, vedi la sofferenza di quel materiale, capisci il suo rigetto.

– Tu, invece, come lavori?

– Quando mi trovo di fronte al materiale, cerco solo di entrarvi in sintonia. Con rispetto, umiltà. È lui stesso che mi dice cosa vuole diventare, che mi guida, passo per passo. E se ci riesco. Se riesco a capire quella visione nascosta, allora avrò realizzato una forma calda e colma di significato, capace di trasmettere emozioni.

Alex sospira affascinato. – Dovresti farlo sempre. Creare, intendo. Sei in gamba a occuparti anche dell'impresa di famiglia...

Anton fa un sorriso tirato. – Sai, io non ho mai avuto lo spirito degli affari come Quentin. Mi sono sempre sentito fuori posto in azienda. Quando mio padre ha avuto quell'infarto, e il medico gli ha vietato qualsiasi tipo di stress, ha dato a me la conduzione della società: avevo solo ventun anni. Quentin ne aveva ventisette e proveniva da studi di economia. Era lui il più adatto, ma nostro padre non volle sentire ragioni. Io sono il figlio della sua amatissima seconda moglie, morta di parto; Quentin il figlio di una donna che l'ha tradito e abbandonato. Mio fratello ha dovuto pagare tutto il livore che papà ha covato per anni. È un'ingiustizia costante che sento scorrere sulla pelle di mio fratello, giorno dopo giorno. Per questo ho cercato di impegnarmi a fondo, studiare e capire il mondo dell'economia e della finanza. Mi sento così inadeguato, Alex. Quentin si sforza di mostrarsi indifferente al comportamento di nostro padre, ma so che ci soffre da morire.

– È fortunato ad avere te per fratello... Mi dispiace tanto per tua madre, sono sicuro che sarebbe fiera di quello che sei diventato. – Sospira. – Hai una bella famiglia, Antonio.

– Non è perfetta; Quentin e mio padre Bernard hanno caratteri difficili, a volte volano piatti e bicchieri, ma è una famiglia, sì, con tutti gli annessi e connessi, – commenta. – E tu che mi dici? Quando hai iniziato con i computer?

– Anch'io da bambino. Il primo pc che mi hanno regalato l'ho smontato completamente, volevo capire com'era fatto.

– Caspita. E i tuoi come hanno reagito?

Alex si acciglia e si passa una mano sul volto. – Uhm.

– Sul serio, si sono arrabbiati?

– Mio padre mi ha chiuso a chiave in una stanza, dicendomi che non avrebbe riaperto, finché non l'avessi rimontato a dovere.

Anton si irrigidisce. – Davvero ha fatto questo?

Alex sorride. Il suo sorriso triste. E gli occhi che cercano qualcosa su cui posarsi. Tira su con il naso. – Però poi non ho rotto più niente. Da allora mi bastano un processore, una scheda madre e un po' di sputo per creare un pc fresco di bucato!

– Quanto... quanto ci hai messo per riaggiustarlo?

– Quattro giorni.

– Tuo padre è... – esala Anton sconvolto, – è un uomo severo.

Alex ha un brivido e agguanta la giacca indossandola con gesti secchi. – Scusa, Antonio, ma adesso devo mettermi un poco a lavorare.

– Ok. Ci vediamo a cena, allora, – fa lui con una stretta al cuore. 

Come petali di Veronica persicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora