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Bussare alla porta. Insistente.

Insistente bussare alla porta.

Alex apre un occhio. Vede il mondo girare e torna a richiuderlo.

Bussare.

Bussare.

Bus-sa-re. Bus-sa-re. Bus-sa-re.

– Cazzo! – grida sollevandosi in piedi in un tramestio di cavi, penne, fogli e mouse caduti a terra. – Chi cazzo è! Chi cazzosissimo è!– esclama barcollando alla porta. Si appoggia al telaio con un tonfo per non cadere, e un istante dopo, ripreso l'equilibrio, la spalanca. – Chi cazzo rompe le palle a quest'ora!? Porca puttana ladra impestata! – sbotta. La voce gli muore in gola.

Anton è in piedi davanti a lui. Avvolto in un completo alta moda, fresco di sartoria, taglio capelli da sfilata, corpo tonico da centro benessere, eccetto per due solchi bluastri sotto le ciglia, che rendono il suo sguardo, se possibile, ancora più intenso. Quell'espressione serena si incrina quando prende coscienza, invece, del suo stato pre-cavernicolo. Un angolo della bocca scivola all'insù. – Hai... hai parte della tastiera tatuata sulla guancia.

Alex tira su con il naso e si massaggia il viso ispido di barbetta incolta. – C...che ci fai qui?

Anton sorride. – Mi farai sempre la stessa domanda ogni volta che ci vedremo?

– Io... scusa Antonio, sono stato sveglio tutta la notte e il giorno prima... e quello prima ancora, credo. Sono crollato. Come stai? La glicemia è sotto controllo? – chiede sbadigliando.

Anton sbatte gli occhi sorpreso. – Sì, sto bene, grazie.

– Beh, meno male, – fa lui guardandosi i piedi.

– Mi fai entrare? Ti ho portato la colazione. – Solleva un sacchetto bianco di carta.

– Sei davvero una testa dura, tu, – commenta Alex, mentre si tasta i capelli, scoprendo di avere un ciuffo sparato di lato come un'insegna stradale. – Cosa c'è lì dentro?

Uno scintillio attraversa lo sguardo di Anton. – "Trecce al burro e uvetta"... del bar giù all'angolo.

Alex spalanca gli occhi e gli strappa il sacchetto dalle dita. – Oh mio Dio!!! Come fai a sapere che le adoro...!? Non le trovo mai, arrivo sempre troppo tardi, quando sono già finite!!!– Solleva la testa. – Gemma?

Anton gli fa l'occhiolino. – Le ho portato una confezione "deluxe" di tinta per capelli francese, color cioccolato, con bigodini e cuffia termica professionale. Ha spifferato tutto.

– Traditrice, – fa lui cacciando il naso dentro al sacchetto e inalando a fondo quel profumo di burro e vaniglia.

Anton inclina la testa con un sorriso dolcissimo. – Posso entrare, Alessandro?

Alex si irrigidisce subito. – Nel mio nido?

– Sì, ma solo se vuoi... non sei affatto obbligato. Volevo solo augurarti buongiorno.

Dopo un breve silenzio, l'altro spalanca la porta facendogli cenno di entrare. – Beh, in qualche modo dovrai pure renderti conto dell'enorme sbaglio che stai facendo con me. Entra, dai, osserva bene come vivo. Accomodati ovunque riesci a trovare una superficie libera. Vado a farmi una doccia, puzzo come una capra e non mi lavo i denti da quattro giorni. Se decidi di andartene nel frattempo, non mi offendo.

– No, – mormora lui a voce piana, – non me ne vado.

Alex si gira un secondo. E scuote la testa chiudendosi in bagno.

Mentre sente scorrere l'acqua della doccia, Anton si aggira per la stanza, sbalordito dalla quantità di cavi e macchinari elettronici che sono stipati in quel minuscolo spazio. I mobili della cucina sono stati convertiti in archivio documenti; i fornelli reggono, al posto delle pentole, una voluminosa cassetta per gli attrezzi, alcuni adattatori e diversi micro-router; il frigo, unica parte ancora destinata al suo uso originale, contiene una malinconica scatola di tonno mezza consumata. C'è una confezione di merendine sopra il davanzale della finestra, una barretta energetica, scaduta l'anno prima, su una sedia, e una bottiglia di succo di frutta sopra una pila di pubblicazioni informatiche; per il resto in casa non c'è traccia di cibo.

Come petali di Veronica persicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora