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Anton lavora fino a sera tardi nel suo ufficio a Palazzo Lacroix; tra riunioni, incontri d'affari e analisi di fattibilità, dimentica anche di mangiare. Fa una capatina al distributore che usano i dipendenti e trafuga un tramezzino striminzito, quindi passa in bagno un momento a misurarsi la glicemia. Risale al suo piano, stanco e sfibrato, ma pronto a macinare altre ore di lavoro. Prima però intende chiamare Alex. Vuole vederlo, ha bisogno di sentire la sua voce e riposare nell'oasi di quegli occhi sinceri.

Spinge la porta del suo ufficio e vi entra, già sorridendo al pensiero che tra poco riceverà la sua dose quotidiana di benessere. Si blocca sulla soglia, scorgendo una sagoma seduta alla sua scrivania. – Chi...? – entra e fa qualche passo in avanti. – Quentin...?

Il fratello si alza in piedi a fatica, barcolla, e si appoggia di peso al ripiano della scrivania, facendo cadere alcuni fogli. È spettinato, slavato, regge in mano una bottiglia di whisky quasi vuota.

Anton si passa una mano sul viso. – Che ci fai nel mio ufficio... e in quello stato per giunta?

– E tu che sei venuto a fare... altro lavoro straordinario? Metti in ordine i tuoi conticini per vedere se qualche centesimo è fuori posto?

– Voglio controllare le spedizioni per quel progetto di artigianato locale che ho avviato.

Quentin espira una risata sarcastica. – Ti piace perdere tempo con montanari e contadini?

– Se andrà in porto, contrasterà lo spopolamento delle zone montane, portando turismo, commercio e posti di lavoro. È una goccia nell'oceano, ma ci tengo.

Suo fratello continua a ridacchiare. – Toi et ta putain de gouttes dans l'océan... (="Tu e le tue cazzo di gocce nell'oceano...")

Anton sospira. – Ti dispiace andare a "smaltire" da un'altra parte? Voglio chiamare Alessandro e poi mettermi a lavorare. E, se possibile, farmi un paio d'ore di sonno prima di domani.

– Bravo, telefona al tuo innamorato, quel frocio di merda. Digli che hai messo insieme tante fottute gocce d'acqua, che faranno scoppiare i nostri conti bancari!

– Quentin!

Lui gli punta la bottiglia contro. – Mi fate schifo. Schifo, voi tutti.

– Sei impazzito!

– Impazzito? Sì, forse... – scoppia a ridere oscenamente sbavando saliva e barcollando. – Vuoi sapere la bella notizia? Il progetto, il carissimo progetto, non è andato in porto: c'è stato un cambio politico. Le due Coree stanno pensando alla riunificazione e hanno dato precedenza agli investitori locali, non vogliono ingerenze straniere. – Ride ancora. – Come prevedere una cosa simile! Come cazzo avrei potuto prevederlo! – sbotta lanciando la bottiglia contro la libreria. – Ho perso l'appalto, siamo stati tagliati fuori. E il nostro principale fornitore ha chiuso i rapporti.

– Mon Dieu (="Mio Dio"), Quentin! – esala Anton sbiancando. – Devo parlare con la banca, se non ci concedono una deroga per rientrare, con le scadenze che abbiamo nei prossimi mesi, rischiamo di dovere dichiarare il fallimento.

Lui spalanca gli occhi con un tremito. – Non puoi farmi questo! Cosa dirà papà? È appena rientrato in Francia, pensa che stia andando tutto bene!

Anton deglutisce a vuoto guardandosi attorno, vede la stanza inclinarsi come se fossero su una barca. – C'è sicuramente una soluzione, riguarderò i conti con gli avvocati e i commercialisti.

Quentin lo fissa, sembra tornare improvvisamente sobrio e abbassa la voce di due toni. – Alors tu ne m'aideras pas? (="Quindi non mi aiuterai?")

– Bien sûr que oui! (="Certo che sì!") – fa lui con voce tremante. – Ma se i soldi non ci sono, non posso inventarli!

– Puoi, invece. Chiedi ad Alex di truccare i dati bancari. Ci penseremo in un secondo momento a rimpiazzarli.

– Cosa?! Tu sragioni!

– È capace di farlo, giusto? È un dannato genio informatico, non è vero? E lo farà per te, se glielo chiedi.

Anton scuote la testa. – È escluso! Scordatelo!

Suo fratello allarga le braccia teatralmente. – Preferisci chiudere le aziende che lavorano per noi? Mandare a casa migliaia di dipendenti? Vedere infangato il nome dei Lacroix e assistere a un altro infarto di nostro padre?

– Non lo farò. Mi dispiace, Quentin, ma a questo punto devo fare valere la mia posizione qua dentro: sei sospeso da ogni nuovo incarico fino a mia disposizione. Cercherò di venirne fuori con i nostri consulenti, senza coinvolgere papà, ma a un certo punto sarò costretto a informarlo.

Quentin gli si avvicina con un ansito. Gli tocca le spalle, gli sfiora il viso, gli stringe le mani. – Non puoi dirglielo, Nino! Non puoi! Mi odierebbe ancora di più! Non riuscirei mai a riconquistare la sua fiducia! Mi caccerà dalla famiglia. Ti supplico! Dammi tempo... dammi una settimana di tempo. Troverò quei soldi, li troverò.

Anton fissa il fratello con occhi lucidi e ricambia la stretta alle sue mani, addolorato nel vedere la sua fierezza svilita dall'insuccesso. "Impara dai grandi... a diventare grande", gli aveva detto. "Non ho mai voluto diventare grande", pensa, "ho sempre e solo desiderato vivere di pietra e colore". – Come farai a trovare il denaro, Quentin? Facendo altri imbrogli?

Occhi che lo cercano e lo catturano supplici. Mani che lo afferrano per i baveri della camicia. – Ti chiedo solo questo: dammi una settimana. Sto aspettando dei pagamenti, forse riesco a coprire almeno metà del debito. Nino, ti prego.

– Ok... ma dovrai giustificarmi ogni cosa. Ogni movimento, capito? Non voglio più pasticci. Intesi?

Quentin annuisce, quindi crolla seduto a terra con la testa fra le mani.



Come petali di Veronica persicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora