23

450 47 52
                                    

Anton lo raggiunge poco dopo, ma non fanno in tempo a dirsi niente che sentono un forte tramestio provenire dall'atrio della villa. Sorride, gli occhi che brillano, e gli sfiora il braccio con la sua solita delicatezza. – Vieni, voglio farti conoscere qualcuno!

Mentre lo conduce attraverso i locali, vedono i domestici sfrecciare affannati in ogni direzione per ultimare gli allestimenti della cena e riordinare ogni micro-particella fuori posto. C'è un'atmosfera schizofrenica nell'aria.

Nel momento in cui varcano la soglia dell'atrio, Alex vede tutto il personale della villa predisposto in una fila serrata, alla militare, di fronte alla porta d'ingresso.

Quentin è in piedi, accanto al custode, e quando li vede arrivare lancia un'occhiata di spregio verso Alex.

La porta si spalanca e due uomini ne varcano la soglia a passo spedito. Il primo è un quarantenne dall'aria slavata con occhi da miope, completo business e valigetta portadocumenti sotto al braccio; il secondo è più anziano, sulla settantina, capelli ricci e biondi, occhi verde giada e corpo prestante. – Quelle est cette folie? (="Cos'è questa follia?") – esclama con voce tonante guardandosi attorno. – Dove sono spariti i miei magnifici leoni all'ingresso? E la fontana! Dove sono tutti i quadri? E gli affreschi? Villa Lacroix ridotta a un ostello della gioventù? Sei tu la causa di tutto questo? – soffia, fissando Alex.

Anton si para al suo fianco. – Papà, ti presento Alessandro Spada; Alessandro, questi è mon père, Bernard Émile Lacroix. Alessandro soffre della Sindrome di Stendhal, papà. Ho fatto togliere io tutte le opere d'arte; le tue preferite, comunque, le ho fatte spostare nelle tue stanze.

Lui inclina il volto, accigliato. – Ma davvero? E chi sarebbe costui? Non ricordo di averlo invitato a casa mia.

Anton fa per rispondere, ma suo padre solleva una mano. – Lo sto chiedendo a lui. Tu chi saresti? Che ci fai qui stasera? Non lo sai che questa è una riunione privata di famiglia?

Alex rimane stupito nel vedere in quell'uomo burbero gli stessi occhi di Anton, lo stesso calore, la stessa dolcezza velata da una maschera arcigna e, per quanto ci provi, non riesce ad averne soggezione. – Sono un amico di suo figlio, signore.

– No, papà, – interviene Anton – lui è più di un amico: è... una persona importante.

L'uomo solleva le sopracciglia scrutando entrambi per poi fermarsi su Alex. – Tu vali il mio Rembrandt e le migliaia di euro in opere d'arte di cui questa dimora è stata svuotata da quell'idiota del mio secondogenito?

– Papà!

Quentin espira una risatina.

Alex fronteggia l'uomo e dice: – No, signore, è suo figlio che li vale, non si arrabbi con lui, per favore. Temo che abbia l'insana abitudine di considerare le persone persone e gli oggetti, beh, oggetti.

– Quindi tu consideri la sublimità di una tela di Rembrandt Harmenszoon van Rijn, un semplice "oggetto"?

Alex stringe le labbra in una linea sottile, poi esclama: – Finché non suderà sangue, sì! Ma se lo farà, giuro che mi convertirò alla sua religione, e ci berrò anche un caffè insieme!

L'uomo si acciglia minaccioso, mentre Anton annaspa, ben sapendo che nessuno in famiglia ha mai osato ribattere a suo padre. Scambia un'occhiata con quella carogna di suo fratello, che gongola alle sue spalle, aspettando lo scoppio inevitabile della sfuriata conseguente. Ma suo padre lo stupisce: scorre lo sguardo su Alex come se volesse prenderne le misure, fa una specie di grugnito, volta le spalle a tutti e si dirige al salone da pranzo. – Dite ai camerieri di servire subito la cena. Sbrigatevi! – crepita. – Quentin, che ci fai lì imbambolato, prendi le mie valige e portale in camera!

Come petali di Veronica persicaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora