CAPITOLO 39

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Jimin

Erano le sei del mattino ed era evidente che di dormire se ne sarebbe parlato direttamente nel pomeriggio sul treno: ormai la notte era trascorsa e Namjoon e Seokjin li avrebbero presi a sprangate sui denti se avessero tardato di nuovo per il percorso benessere.

A Jimin non importava: tra le braccia di Yoongi, accoccolato al suo petto, era l'unico posto in cui non si sentisse smarrito. Forse il suo era un pensiero crudele, malsano... ma tenerlo accanto a sé, soltanto per un momento, era davvero così sbagliato?

Il corpo mingherlino del suo compagno clandestino tremava, i vestiti ancora bagnati, le gambe che fungevano da barriera, la braccia abbandonate lungo i fianchi: così vicino, eppure così distante, benché in lui il desiderio di contatto fosse palpabile... o forse era così solo agli occhi di Jimin, attento, capace di sfiorare la sua anima e di coglierne ogni sfaccettatura.

Yoongi in quel momento rappresentava la sua barriera dal mondo esterno, un sostituto per le sue difese ormai crollate miseramente a terra.

Jimin aveva smaltito l'alcool, ma era ancora ubriaco di emozioni.

«Yoongi». Un nome comune, come tanti altri, un sussurro delicato quanto una foglia rinsecchita e trascinata via dal vento gelido e impetuoso. L'inverno era calato da tempo, lasciando subentrare i boccioli in fiore e i raggi del sole, ma continuava ad annidarsi nella parte più recondita dell'anima del ballerino.

«Jimin?». Anche il suo nome venne pronunciato così, in un leggero soffio dorato, o forse di ferro arrugginito.

«Yoongi», ripeté, per nessuna ragione specifica. Si sarebbe aspettato lo stesso dall'altro ragazzo, ma questi rimase in silenzio.

Jimin detestava essere ignorato, e quando era Yoongi a farlo il fastidio era triplicato, perché lo faceva palesemente apposta. Per quanto ancora sarebbe durato quel gioco del silenzio?

«Yoongi, Yoongi, Yooooongi».

«Noto con piacere che stai bene». Finalmente una risposta, come al solito impregnata di sarcasmo.

«Come una pezza stracciata, sì», rispose il più piccolo, usando quella scusa per accoccolarsi di più all'amico.

«Vuoi vomitare?».

Domanda piuttosto ironica, visto ciò che aveva ingerito poco prima. «Smettila di chiedermelo». Si leccò istintivamente il labbro, avvertendo il sapore di Yoongi inumidirgli ancora la lingua.

«Sei troppo silenzioso, mi sto preoccupando». Già, a Jimin il gioco del silenzio non era mai piaciuto, ben diverso dal godersi la quiete del parco alle tre di notte; la riservatezza dell'amico, invece, era sempre stata tangibile, fin dalla prima volta in cui si erano incontrati. Eppure lui era riuscito a demolirla con due o tre passeggiate notturne: Min Yoongi era una delle persone più buone che conoscesse – e anche acide, sì, ma semplicemente perché preferiva tenersi tutto dentro.

Per Jimin era strano stare dall'altra parte, in “silenzio stampa”, ma d'altronde non aveva idea di cosa dire: si sentiva in imbarazzo, e non per ciò che avevano appena fatto. Si sentiva in imbarazzo per ciò che avrebbe potuto pensare Yoongi di quel gesto... lui, in fondo, non pensava niente.

Forse, però, si sentiva un po' in colpa.

«Piuttosto... tu come ti senti?», domandò con un tono del tutto disinteressato. Il più grande si sistemò meglio contro il bordo della vasca: era agitato, e Jimin lo percepì dal modo in cui le mani si muovessero rapidamente dalla sua vita al pavimento, mani che dovette fermare lui stesso, posandole sul suo grembo, mani che fino a poco tempo prima gli stavano stringendo il corpo con avidità... mani che, nella parte più recondita della sua anima, avrebbe voluto sentire anche altrove.

Moon's Serendipity ~ YoonminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora