CAPITOLO 47

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Nota: il liceo in Corea del Sud dura tre anni, e i ragazzi iniziano a frequentarlo a diciassette anni (secondo l'età coreana). L'anno scolastico inizia in primavera.

Jimin

Sei anni prima

Se ci fu una cosa che caratterizzò la lunga adolescenza di Jimin, almeno fino al compimento dei suoi diciassette anni, era quella dannata sensazione di essere un pesce rosso uscito dalla sua boccia di vetro.

Il suo primo anno di liceo fu il peggiore: le persone lo facevano sentire costantemente a disagio, malgrado egli, all'esterno, dimostrasse il contrario, sorridendo se la circostanza lo richiedeva e intervenendo nei discorsi laddove venisse interpellato. Trovare qualcuno con cui si sentisse appagato quasi rasentava l'utopia.

Taehyung, il suo unico amico dai tempi delle medie, faceva di tutto per stare con lui e per farlo sentire a suo agio, e Jimin tentava di reggere il gioco. Eppure la timidezza era sempre in agguato, così come la paura... Paura di essere giudicato come “diverso”, per il suo fuggire costantemente dalla realtà e dalla conformità della massa.

Eppure ci provava.

Eppure falliva.

Jimin era semplicemente un fantasma in una pace precaria con se stesso, perché lui da solo stava bene: la solitudine era sacra.

La verità era che le persone non gli piacevano così tanto: tutte concentrate sull'apparenza, sulla popolarità, sul rendimento scolastico, perché se in Corea non studiavi almeno ventuno ore al giorno – per citare parzialmente il famoso detto – non andavi da nessuna parte. Avevano tutti grandi aspirazioni, erano già proiettati verso un futuro che credevano di conoscere, ma che in realtà era un mero buco nero dalle pareti impenetrabili, e nessuno era davvero a conoscenza della natura del suo contenuto.

Jimin teneva al suo rendimento scolastico, si ammazzava sui libri giorno e notte e sperava in cuor suo di rendere sua madre fiera di lui. Ma al futuro lui non ci pensava mai: diciassette anni erano decisamente troppo pochi per disporre di una certezza per il destino incombente; cercava di vivere il momento e si rifugiava costantemente nei sogni, forse nella speranza di non cadere nello sconforto e nell'autocommiserazione.

Tre anni di liceo, densi di studio e sangue amaro, erano la ragione per cui i ragazzi come lui avevano già una vaga idea sull'università da frequentare: erano pochi, non c'era tempo per riflettere, non c'era tempo per dormire o per fare congetture. La società coreana non lo permetteva.

Eppure Jimin non era nemmeno sicuro di volerla fare l'università... ma era un suo dovere, una promessa non intenzionale fatta a se stesso. Una scelta saggia.

Seguire il cuore non era permesso.

Il suo sogno era quello di diventare un ballerino di danza moderna e contemporanea. Buffo, vero? Lui non aveva mai nemmeno frequentato una scuola di danza, per il terrore di non esserne all'altezza o di venire giudicato.

Seguire il cuore sarebbe stata la firma sul contratto immaginario che recitava “Diventare un reietto”, perché, diciamoci la verità, pur se avesse davvero avuto il coraggio di lasciarsi andare, non sarebbe mai arrivato da nessuna parte.

Non era abbastanza.

«Chim, io torno a casa, sto morendo di sonno», borbottò Taehyung sbadigliando. «Prendiamo l'autobus insieme?».

Jimin fece spallucce e, dopo aver recuperato i libri che gli occorrevano, richiuse l'armadietto e disse: «Preferisco restare in biblioteca a studiare».

«Sei sicuro? Non è che la Divina Commedia ti inghiottisce in uno dei suoi gironi?».

«Non mi dispiacerebbe, ma no, tranquillo».

Moon's Serendipity ~ YoonminDove le storie prendono vita. Scoprilo ora