Capitolo 10

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Maggy
Sono ancora nell'infermeria.
Ally ha finito il turno ed è andata nella sua camera ed io invece devo rimanere qui dato che ancora non mi hanno dato il permesso di alzarmi.
È da questa mattina che non vedo nessuno, ed è da questa mattina che mi tornano in mente le urla del tenente e di quanto si sia arrabbiato.
Non lo biasimo, e so che ha ragione.
So di aver agito troppo bruscamente, ma l'ho fatto per Noah.
Se lo avessero colpito, credo che non sarei riuscita a stare tranquilla sapendo che potevo fare qualcosa.
Poco fa ho chiesto a mio padre di portarmi qualche foglio ed una matita, almeno non mi annoio.
Avrò riempito cinque fogli e ancora non mi sono stancata.
Disegnare è sempre stata una passione: a casa ho tutti gli album conservati in uno scatolone sotto al letto. Ho conservato anche quelli che facevo in orfanotrofio, o quelli prima..prima di essere abbandonata.
Ricordo ancora quel giorno e devo dire che ad oggi non fa più tanto male, dà solo fastidio.
Quando a scuola raccontavo che ero stata adottata e che i miei genitori non mi hanno voluta con loro, tutti provavano pena per me. Ed io lo odiavo.
Odiavo essere guardata con occhi tristi, pieni di comprensione, pieni di quella tristezza che io avevo superato. Tutti provavano pena per me, ma io non volevo..se non provavo io pena per me stessa perché avrebbero dovuta provarla altri? Persone che infondo non conoscevo.
Più volte mamma e papà mi hanno chiesto se avevo voglia di sapere chi fossero, di rivederli, di parlarci ancora..parlare e rivedere due persone che se ne sono fregati di me. Ho sempre detto di no, il loro ricordo nella mia mente è vago..non ricordo più il suono della loro voce o i loro occhi.
Sono svaniti.
Ma ricordo perfettamente la sensazione di isolamento e di abbandono. E quella non la dimentico.

<Buonasera kamikaze>.
Noah con una tuta nera interrompe i miei pensieri e anche la mia mano che scivola sul foglio.
<Kamikaze?>, domando mettendo via i fogli alla velocità della luce.
<Cosa nascondi?>, domanda lui a sua volta.
<Niente niente>, rispondo alzando le spalle.
<Come ti senti?>, chiede sedendosi sul bordo del letto.
<Vorrei alzarmi e vedere il sole domani>, spiego aggiustando il cuscino dietro le mie spalle.
<Allora ho buone notizie per te>, afferma lui sorridendo a 32 denti.
<Cioè? Posso venire in missione con voi?>, domando ironica sapendo già che mio padre vuole mandarmi via.
<Puoi alzarti, con le stampelle ovvio..ma puoi farlo>, mi informa lui sorridendo di meno questa volta.
Finalmente posso alzarmi da questo lettino infernale.
<Va bene, almeno posso andare un po' in giro>, sussurro giocando col lenzuolo.
<Davvero tuo padre vuole mandarti via?>, chiede poi alzandosi e andando verso la piccola finestra che dà sul davanti.
<Si, tu pensi che sia giusto mandarmi via?>, domando per sapere una sua opinione.
<Penso che tuo padre voglia solo il bene per te, e credimi quando ti ha vista tra le braccia di Thommy lui..>, inizia a dirmi lui.
Il tenente mi ha portato qui dentro tra le sue braccia?
<Cosa?>, domando incredula.
<Quando tuo padre ti ha visto nelle braccia di Thommy stava per svenire>, continua lui non avendo capito a cosa mi riferisco.
<Lo posso immaginare>, bisbiglio guardando il soffitto.
<È normale che voglia che tu vada in un posto più sicuro e che la sua unica figlia non rischi la vita ogni giorno>, afferma lui chiudendo la tapparella della finestra.
<Ma io voglio fare questo lavoro, voglio rimanere qui..voglio..non importa quello che voglio a questo punto>, dico spostando il lenzuolo e prendo le due stampelle che si trovano alla sinistra del letto.
<Perché non provi a riparlarci?>, domanda come se fosse possibile far cambiare idea a mio padre.
Mi sollevo con l'aiuto delle stampelle ed inizio a camminare lentamente, sentendo un piccolo fastidio alla gamba.
<Perché sarebbe tempo sprecato, non riuscirei a fargli cambiare idea nemmeno se lo volessi>, spiego brevemente.
Ho faticato mesi prima di fargli accettare il fatto di aver fatto domanda qui, figuriamoci con una gamba rotta. Ci vorranno secoli.
<L'unico che potrebbe convincerlo è Thommy>, mi spiega lui.
<Sarebbe tempo sprecato parlare anche con lui. L'hai sentito questa mattina, mi parlava con rabbia e poi il fatto che mio padre vuole mandarmi via, è un ottima scusa per far sì che mi levi dalle scatole>, dico leggermente infastidita pensando già alla faccia soddisfatta del tenente quando sarò con le valigie dietro al cancello.
<Non è così cattivo come sembra>, lo difende Noah.
È il fratello.
Non so cosa si prova ad averne uno, non so com'è l'amore di un fratello. So solo che ci si difenderebbe sempre, a prescindere.
Si vorrebbe il meglio per lui o lei, si farebbe di tutto.
<Non ho detto che è cattivo, non ho detto questo. Penso solo che non gli vado a genio, in poche parole? Non mi sopporta>, dico ovvia camminando un po' per l'infermeria.
<Non è proprio così..>, lo difende ancora lui come se farlo fosse più forte di qualunque cosa.
<Ah no?>, chiedo ironica guardandolo con un sopracciglio alzato.
<Eh va bene, diciamo pure che non gli vai a genio, ma sa quello che dice e che fa>, ammette lui guardando poi verso la porta dell'ufficio del fratello che ha ancora la luce accesa.
Il tenente se ne sta seduto alla scrivania e legge un sacco di scartoffie.
L'espressione seria, gli occhi bassi sui fogli, una penna in mano, e l'altra mano nei capelli ricci corvini.
Le spalle tese, sempre sulla difensiva, sempre pronto ad agire.
Lo guardo e non riesco ad immaginarmi tra le sue spalle forti ed ampie, sorretta da quel corpo freddo e composto.
<Hai mangiato questa sera?>, mi chiede lui quando vede che non rispondo.
Sono concertata nel far un passo alla volta e cerco di abituarmi a camminare con le stampelle. Non è facile come sembra.
<No, non avevo molta fame oggi>, rispondo sedendomi sul lettino quando sento troppo dolore alla gamba. Non voglio forzarla troppo.
<Si, ma devi mangiare>, mi canzona lui andando poi verso la porta.
<Dove vai?>, chiedo quando apre la porta.
<Vado a prenderti qualcosa da mangiare>, risponde ovvio andando via.
Oddio.
È davvero molto carino nei miei confronti, molto apprensivo.
Cammino avanti e dietro per la stanza e adesso riesco a farlo un po' più velocemente.
Allora domani posso tornare a lavorare, o almeno a fare le cose basilari. Ally mi ha detto che domani mattina uscirà per il giorno dei vaccini. Verranno effettuati a tutti coloro vogliano farli, donne e bambini. Sono solo due giorni in questa settimana ed io non farò nessuno dei due.
Sbuffo e lancio una delle stampelle per terra dal nervoso e dalla rabbia.
Sono venuta qui per fare il mio lavoro, e invece sono bloccata qui dentro con una gamba rotta.
<Vuole distruggere tutto per caso?>, domanda la voce forte e bassa che proviene dalla persona ferma sulla porta.
Mi volto e vedo il tenente con Noah vicino che guardano verso di me e poi la stampella a terra.
<Mi scusi>, sussurro cercando di piegarmi per prenderla ma Noah mi anticipa.
<Siediti, ti ho portato un panino>, mi dice aiutandomi a sedere sul lettino.
Mi passa un panino con carne, insalata, pomodori e poi anche una bottiglia d'acqua.
<Noah, ci lasci da soli?>, domanda il tenente che se ne sta ancora sulla porta come un generale.
Alzo lo sguardo verso di lui e i suoi non sono su di me.
<Perché?>, domanda il fratello sorpreso.
E sono sorpresa anche io della sua richiesta, non so cosa deve dirmi.
<Devo parlare con la signorina, nulla di importante>, risponde lui con tono quasi scocciato.
<Buonanotte Maggy>, mi saluta Noah prima di andare via chiudendo la porta alle sue spalle.
<Le hanno detto che domani potrà tornare a lavorare?>, domanda lui facendosi avanti fino a poggiarsi alla scrivania. Piedi incrociati e mani in tasca.
<Si>, rispondo alzandomi di nuovo e prendendo le stampelle, lasciando la cena che mi ha portato Noah sul comodino vicino al letto.
<E quando se ne andrà?>, chiede ancora lui.
Ma certo, vuole che mi tolga di mezzo il prima possibile.
<Spero presto>, rispondo con tono acido.
Sono stanca di lui e di queste frecciatine.
Non devo essere simpatica a tutti, e non pretendo di esserlo, ma si comporta così dal primo giorno.
<Vuole già andarsene? Non diceva che voleva aiutare gli altri? Ebbene, dov'è questa voglia di farlo?>, continua mentre io cammino come se avessi una gamba rotta. Ah giusto, ho una gamba rotta.
E la sua presenza non aiuta di certo.
<Voleva parlarmi di questo? Non ha nient'altro da fare che stare qui a parlare con me?>, domando acida io guardandolo negli occhi.
<Volevo solo sapere tra quanto lascerà la base>, risponde lui alzando leggermente le spalle come per difendersi.
<Per la sua gioia succederà molto presto>, replico guardando poi quando estrae dalle tasche le mani e le incrocia sul petto.
Chiudo gli occhi e li stringo un attimo per non ricordarmi di quella notte.
<Si sente bene?>, domanda lui scostandosi dalla scrivania.
Annuisco continuando a tenere gli occhi chiusi.
Il sangue.
Le sue mani.
Le sue parole.
I colpi.
<Si venga a sedere>, insiste lui.
Apro gli occhi e lo vedo venire verso di me.
Si blocca.
<L'aveva fatto altre volte?>, domando incamminandomi verso il letto.
<Cosa?>, chiede lui ritornando alla scrivania.
<Estrarre una pallottola>, rispondo ovvia sedendomi ma lasciando una gamba a penzoloni.
<No, e lei aveva mai ricevuto una pallottola?>, domanda lui.
<No>, rispondo semplicemente.
Guardo il suo profilo serio e definito.
Gli occhi aperti ma che non guardano nulla.
<Lei disegna?>, domanda poi dopo alcuni secondi.
<A volte>, rispondo guardando la matita sopra il letto e i fogli messi a casaccio sotto il lenzuolo.
<Cosa disegna?>, domanda poi.
Si volta per un secondo verso di me, lasciando che i suoi occhi si posino su qualcosa che non sia il nulla.
<Nulla>, rispondo monocorde quasi stanca della sua presenza qui.
<Non disegna nulla, quindi perché disegna?>, domanda ed io scuoto la testa per cercare di capire bene la domanda.
<L'ho sempre fatto>, dico guardando il soffitto.
<Cosa disegna?>, ripete la domanda come se saperne la risposta fosse fondamentale.
<Le ho già detto nulla>, rispondo stizzita.
<Quindi quei figli sono bianchi?>, domanda ancora insistendo.
<No..si>, mi correggo.
<Non sono bianchi, quindi cos'ha disegnato?>, continua lui.
Guarda davanti a sé e sembri che stia parlando con nessuno. Sembra che in questa stanza io sia sola, o meglio sia con una statua.
<Tenga>, dico prendendo da sotto il lenzuolo un foglio su cui ho disegnato un fiore, precisamente un girasole.
Lui si volta verso di me e guarda il foglio teso verso di lui.
Lo guarda come se prenderlo fosse una questione di vita o di morte.
<Lo prenda, ha insistito così tanto per sapere cosa disegno. Lo prenda>, continuo guardandolo non muovere un muscolo.
<Si riposi>, dice spostandosi dalla scrivania e senza guardarmi va via.
Ma perché si comporta così?
Non lo capisco.
Prima dice una cosa e poi fa tutt'altro.
Qualcuno mi dia un libro con le istruzioni.

Con il foglio che ho in mano vado piano piano verso il suo ufficio, apro la porta e lo poggio sopra la scrivania.
Almeno domani mattina vedrà il disegno che tanto voleva vedere. Chiudo la porta e vado a dormire.
Buonanotte tenente.

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